Leggere è un privilegio che gli occidentali hanno conquistato recentemente e, tuttora, solo parzialmente.

(Oggi ne sono esonerati da strumenti digitali che sono utili per guardare, per manipolare ma solo raramente per vedere quei segni della civiltà alfabetica infatti travisati in iscrizioni familiari ma insieme così impenetrabili da risultare cabalistiche).

Ciò che Edward Said chiamava orientalismo, e cioè la dominazione coloniale diretta e indiretta, ha prodotto altrove un fenomeno opposto e complementare con l’impulso a liberare quei segni medesimi dalla violenza del dominio e, finalmente, ad appropriarsene.

La bambina inquadrata nella foto di Giovanni Marrozzini testimonia di una duplice ostinazione.

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Fotografia «Parolamia»

Seria, china a sfiorare i caratteri braille, sembra digitare su un computer soltanto suo, specialissimo, e testimonia di una concentrazione, di una serietà compunta, che i suoi coetanei e nativi occidentali hanno probabilmente perso una volta per sempre.

La bambina etiope è a tutti gli effetti una immagine della “cultura” e dunque dell’umanità al lavoro tesa a oltrepassare la barriera della cosiddetta “natura”, che nel suo caso è doppia o tripla in quanto è fisiologica, etnica e di classe. Il suo mite inconsapevole eroismo parla mutamente ai coetanei che viceversa agiscono la lettura come un riflesso condizionato da strumenti ridotti a pròtesi.

Seguendo l’esempio dei grandi fotografi sociali (per esempio di Caio Garrubba e Mario Dondero), Marrozzini coglie la semplicità del gesto concentrandola in un punctum focale, nel qual caso la testa della bambina che esorbita da ogni impaginazione e punta l’obiettivo protendendosi in avanti, fuori-campo e, perciò, appellandosi direttamente allo spettatore.

Il quale è costretto a retrocedere e a sentirsi, di riflesso, spalle al muro. È lì, con uno spasmo psicofisico, che avverte d’essere chiamato in causa, di non disporre di alibi ulteriori.