Abiy Ahmed è da ieri il nuovo presidente del Fronte democratico rivoluzionario popolare dell’Etiopia (Eprdf), la coalizione al potere. Già ministro della Scienza e della tecnologia nel governo Desalegn, il quale un mese fa ha rassegnato le dimissioni, la nomina che di fatto gli spiana la strada verso la poltrona di premier ha tutta l’aria di un’apertura nei confronti degli Oromo, gruppo maggioritario in Etiopia, che da almeno due anni è sul piede di guerra contro le discriminazioni e le minacce territoriali di cui è vittima. Una mobilitazione a cui nel frattempo si è aggiunta anche la comunità Amhara, la seconda in termini di popolazione. Tutti uniti, o quasi, contro lo strapotere politico ed economico della minoranza tigrina (6% della popolazione). Uno scontro che fin qui ha prodotto decine di morti nelle piazze e migliaia di prigionieri politici.

Ahmed è nato in Oromia 42 anni fa in una famiglia mista cristiano-musulmana e sarà dunque il primo oromo al potere dai tempi di Menghistu.

Per questo la scelta ricaduta su di lui sembra aprire una breccia anche tra gli oppositori. Il leader del Semayawi (Partito blu), Yeshiwas Assefa si aspetta ora «dialogo globale» e il rilascio di tutti i prigionieri politici dopo l’amnistia che ne ha rimessi in libertà circa 6 mila. Per l’attivista oromo Jawar Mohammed, in esilio negli Usa, la svolta è «un’opportunità unica per la transizione pacifica alla democrazia». Più cauto Bekele Gerba, segretario del Congresso federalista oromo (Ofs), rilasciato a gennaio dopo tre anni di carcere duro: «Il destino del paese dipende da quanto militari e servizi obbediranno al nuovo premier e alla Costituzione». Ora tocca al parlamento ratificare la nomina di Ahmed. Una passeggiata, visto che l’Eprdf controlla tutti i 547 seggi.