Sono passati cinquant’anni e l’Italia si è come rimpicciolita. È diventata un Paese senza Stato e senza Mercato, dominato dal familismo, dal lobbismo e da consorterie di ogni genere.

Il dibattito politico si confonde con il chiacchiericcio; i cosiddetti leader nascono, crescono e tramontano come i personaggi di una «soap». Anche la cultura sembra avvitarsi nella stessa spirale, incapace di creare scandalo, prigioniera delle attese dei lettori e spettatori, ridotta ad appendice degli algoritmi di Netflix e Amazon.

In generale il Movimento non movimenta più. L’indignazione si è privatizzata. Nessuno parla più di casta: nei titoli di coda dei film possono scorrere i nomi dei parenti dei politici di sinistra senza creare reazioni indignate.

Al Presidente del Senato sembra una buona idea che la Rai ricompri a suon di milioni o di nuovi contratti i diritti che in precedenza ha regalato a Giovanni Minoli; invece si trova opportuno non acquisire gratuitamente le stagioni di Servizio Pubblico pur di non mettere on line quelle di Annozero.

Se morissi io la censura sarebbe un aiuto a dimenticare, se morisse Berlusconi potrebbe accelerare il processo per la sua santificazione.

Nel frattempo, a scanso di equivoci, il Pd ha favorito la riconferma di Mauro Masi, l’ex direttore generale della Rai, alla presidenza della Consap e ha portato in Parlamento come suo deputato Cosimo Ferri. Sono i due che tramarono per ridurre al silenzio la mia trasmissione. Ferri non è un omonimo, è il partner delle ammucchiate lottizzatorie con Palamara in magistratura, che hanno fatto sprofondare la fiducia nella giustizia. Allo stesso livello di quella nei giornali e nei partiti.

Il Paese è fermo per la Pandemia. Solo le strutture dell’Emergenza si muovono senza freni e regole da rispettare. Prima bisogna vaccinare tutti, poi si vedrà se è il caso di ricominciare a pensare.

Dovrebbe bastare una Protezione Civile, invece piovono Commissari e Virologi con poteri straordinari al di fuori del controllo della legge. Anche la Democrazia è ferma. Se non sei un militare non conti una minchia; sei un dipendente pubblico in borghese? Resti in attesa delle indicazioni di Renato Brunetta per ritrovare il senso della tua funzione.

Arrivano i colonnelli e non impugnano le armi ma le siringhe dei vaccini.

Allora torno indietro di trenta anni. A certi incontri con Valentino Parlato. Parlava con tutti. Anche con il nemico. Anche con me.

Mi chiamava «il compagno populista». Prima con lui dovevi sbrigare la pratica all’ordine del giorno (la sottoscrizione, comprare azioni che non valevano nulla, dargli mille euro per far continuare le pubblicazioni) poi si litigava. Ricordo in particolare la vigilia di un terribile 1992. Per Valentino la Prima Repubblica era un sistema di pianeti tenuto insieme dalla forza di attrazione di Giulio Andreotti. «Non vedi che la caduta del sole è l’inizio della fine?».

 

La manifestazione del 25 aprile 1994 a Milano

 

Dopo il crollo del Muro io ero pieno di speranze e il manifesto, del quale non perdevo una copia, mi sembrava non riuscisse a pensare oltre i vecchi partiti. La grande chiesa comunista sarebbe crollata e bisognava sbrigarsi a cambiare. Fare a meno degli dèi come Berlinguer, liberarsi dalla sottomissione alle gerarchie del centralismo democratico, avrebbe spinto a diventare più laici e a scegliere con più partecipazione governi, presidenti del consiglio e rappresentanti parlamentari. «Valentino, non vuoi morire democristiano e adesso hai paura del futuro?».

Sbagliavo a prevedere che la politica ci sarebbe arrivata per forza a pensare in una maniera nuova. I partiti sono finiti ma gli apparati no e si sono sommati per sopravvivere, chiudendosi alle nuove generazioni. Come la società.

Dopo essermi tanto battuto per i referendum sono andato a votare e sulla scheda ho trovato Bartolomeo Ciccardini, uno che non voleva il divorzio e l’aborto. Il Mattarellum che Letta considera l’ideale!

Insopportabile è la falsa autocritica della sinistra: «Ci siamo occupati poco delle persone». Che cavolo vuol dire in concreto?

Definisci una persona. Un operaio una volta pressappoco sapevamo cos’era, così un contadino o un artigiano o uno studente, un banchiere, un imprenditore, un commerciante. Il lavoro, la collocazione sociale, il reddito ci rendevano diversi ma erano le idee a unirci in una comunità reale.

Oggi è vero che siamo soprattutto persone ovvero individui non replicabili. Ma lo siamo tutti, padroni e sotto. E tutti ci rappresentiamo nei social come meglio vogliamo, creiamo le nostre storie e la nostra identità personale.

Quindi cosa vuol dire che ti vuoi occupare di me? Che sono un poveraccio? Che mi conosci, sai chi sono i miei amici e quali sono i miei sogni? Francamente non penso che un partito debba occuparsi di me. Semmai sono io a osservare le persone che ne fanno parte per scoprire se un po’ mi somigliano. Dunque fammi capire come sei e io ti dirò se mi piaci o non mi piaci, se condivido o non condivido. Clic.

Non ho nostalgia per gli anni in cui c’erano le stragi o per il ventennio di Berlusconi. Ma dolore, sangue, censura, si accompagnavano a una grande passione e partecipazione.

So che bisogna passare dai like per ritrovare il sapore della vita reale e il piacere della lotta. Internet è alla base della coscienza sociale, la fabbrica in cui ciascuno di noi lavora ed è espropriato del plusvalore che crea.

Quasi quasi ci vorrebbe un manifesto.