Quando nel 1990 Jiri Menzel vinse l’Orso d’oro al festival di Berlino per Skrivánci na niti (Allodole sul filo) si apriva una nuova era, appena dopo la caduta del muro e appena prima della dissoluzione dell’Urss, subito la Rivoluzione di velluto della Cecoslovacchia nel 1989.

Quando si leggevano le filmografie ufficiali dei registi dell’est bisognava fare attenzione: molti titoli erano cancellati, oppure riferiti alla loro «riabilitazione», come in questo caso. Il film infatti è del fatidico 1969, anno in cui su tutta la generazione della nova vlna cecoslovacca piombò una cappa di ghiaccio, talenti riconosciuti internazionalmente bloccati, finiti su una lista nera che durò circa vent’anni. Ed era veramente un grande talento del cinema mondiale Menzel, aveva vinto un Oscar appena ventenne con Treni strettamente sorvegliati e la sua collaborazione mai interrotta con lo scrittore Bohumil Hrabal iniziata fin dal primo corto La morte di Balthazar nel film collettivo degli studenti di cinema Perline sul fondo lo aveva reso doppiamente pericoloso per quella sua leggerezza ironica che non aveva bisogno di proclami.

Allodole sul filo che si rivedrà quest’anno al festival di Berlino nella sezione «Classics» è ambientato a Kladno, il paese che Hrabal ha raccontato più volte e dove abitava volentieri fuori Praga, tratto dal romanzo «Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare». Siamo alla fine degli anni quaranta, nella Cecoslovacchia stalinista, in un campo di lavoro per la rieducazione dei dissidenti «che scontano l’appartenenza all’ex borghesia attraverso l’onesto lavoro» (secondo la nota di presentazione del film) con il compito di smaltire i rottami di ferro delle fonderie del posto.

Dello stretto controllo dei vigilanti, anche loro con problemi quotidiani da risolvere, si fanno beffe i lavoratori delle più diverse provenienze, tanto che Pavel e Jitka si incontrano a dispetto delle separazioni imposte, si innamorano e riescono a sposarsi per procura, ma, come le allodole che cantano sul filo dell’alta tensione, non hanno idea del pericolo incombente.

Come sempre nei film di Menzel dove le piccole storie fanno emergere la grande Storia, le sue sottili e giocose impertinenze, furono lette come dirette critiche al regime sovietico e il film fu sequestrato per venti anni.