Un Couple è la storia di un amore, una coppia appunto anche se la voce che ne ripercorre la vita comune è unica: è da un solo punto di vista che ne ascoltiamo i sussulti, le emozioni, i desideri, le frustrazioni, un segmento di quel «doppio» di cui l’altro rimane fuoricampo. A narrare è la voce femminile e pian piano ascoltando il suo «monologo» capiamo che quella solitudine rispecchia il suo stato d’animo di fronte all’altro, al maschile, e la sua assenza dall’inquadratura della loro dimensione quotidiana che è stata per lei insopportabile: un sottrarsi continuo e crescente ai sentimenti e ai semplici gesti che compongono la costellazione di un incontro. «È la nostra vita come coppia finita per sempre?» si chiede la donna. E ancora: «Vorrei ricordare quello che ci ha tenuti insieme per così tanti anni».

LE PAROLE sono quelle che Sofia Tolstoj rivolge nelle lettere e nei diari al marito Lev su cui Fred Wiseman ha lavorato per il suo nuovo film, Une Couple con la complicità della protagonista, l’attrice Nathalie Boutefeu che incarna Sofia. Non è la prima volta che il regista, Leone alla carriera nel 2014, narratore dell’America e tra i grandi autori di un racconto del mondo, sceglie una prospettiva «teatrale»; lo aveva fatto in La dernière lettre (2002), ispirata a Grossman, ma qui il personaggio vive nella natura (il magnifico giardino di La Boulaye, a Belle-Île, in Francia), e questo «spazio scenico» di suoni del mare e della primavera, degli insetti, del vento, degli uccelli non è solo un sfondo magnifico – in cui le immagini catturano i frammenti di vita – ma si fa personaggio, presenza di una natura che è insieme aspra, indocile, tumultuosa, delicata, solare quasi che quel controcampo mancante si riflettesse lì, tra quegli istanti di bellezza (la fotografia è di John Davey). O forse è quello il movimento del sentimento (impossibile) di un amore, come è impossibile per la coppia essere insieme, abitare insieme, sopportarsi l’uno con l’altra?

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A lezione di democrazia con Frederick WisemanUn Couple è arrivato in concorso ieri scuotendolo infine dal torpore dei grandi blockbuster dei primi giorni: un film «piccolo» per il regista in termini di materiali e durata delle riprese – come lui stesso spiega nei materiali stampa – rispetto alle sue incursioni nelle istituzioni americane – da Titicut Follies (1967) fino al più recente City Hall – e che ci dice ancora una volta della libertà di un gesto creativo che ha mantenuto il piacere di mettersi alla prova e reinventarsi, di cercare e di scegliere e la cifra del proprio desiderio.

Che è qui dunque Sofia? Una donna ferita e arrabbiata che ha sposato un uomo col doppio dei suoi anni quando lei ne aveva solo diciotto e lui era già uno degli scrittori più affermati in Russia; e che nonostante la sua giovinezza voleva trovare una propria dimensione in un’epoca nella quale le donne non ne avevano, specie se legate a uomini geniali. Lei gli è accanto, copia e corregge i suoi manoscritti, discute, legge le sue opere, suona, si occupa dei figli; poi però le cose iniziano a andare male, il rapporto si fa violento, le crepe profonde al punto che lui non la vorrà più vedere rifiutandole persino i benefici della sua grandissima ricchezza.

PERCHÉ? Cosa si è spezzato, quali sono stati gli atti, le ragioni di questa fine? La fama dell’autore di Guerra e pace e di Anna Karenina? Le aspirazioni soffocate di Sofia? – «Ho sacrificato tutto a te, alla famiglia…». Non ci sono spiegazioni nelle sue parole ma una collana di eventi felici o dolorosi in cui balena questo suo sentirsi sempre più esclusa dall’arte, dal lavoro, dall’impegno dell’uomo. E la gelosia, i risentimenti, gli scatti d’ira di lui, la crudeltà, l’indifferenza. Lei interroga quei fatti, quelle memorie, quel vissuto, mai se stessa, cerca una replica che rimane muta. Non è certo una «ricostruzione» che cerca Wiseman, Boutefeu ha i capelli raccolti in una treccia e uno scialle che suggeriscono un’iconografia antica come la luce della candela che la sera le illumina il volto ma è la parola che dice, suggerisce, inventa, crea, e in quello spazio si rimane fuori da tempo e in ogni tempo, lasciando risuonare una condizione che è contemporanea, riconoscibile, che riguarda l’esperienza di ciascuno e insieme rappresenta l’archetipo di ogni narrazione.

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L’occhio astratto di WisemanNelle immagini la figura dell’attrice, a distanza o in primo piano, sul volto ha lo stesso «rilievo» di un fiore, di un gabbiano, della scogliera con le onde a volte inquiete, ciò che cattura lo sguardo di Wiseman, che dice di uno stare nel mondo rendendo la parola «fisica» come la gioia del sole o di colore intenso dei petali. In quegli istanti luminosi in cui si schiude uno sguardo sul mondo c’è la scommessa di questo film, del cinema e la sua meraviglia.