Su alcuni uliveti situati poco fuori della città di Antiochia incombe una montagna di macerie alta decine di metri. Una fila interminabile di camion sovraccarichi e senza alcuna copertura rallenta e a tratti blocca il traffico regolare, sollevando un polverone che rende difficile la visibilità. Nessuno tra i lavoratori, le forze di polizia e dell’esercito sul sito di stoccaggio indossa mascherine o altro tipo di protezione.

EPPURE GIÀ dopo un’ora passata a visitare quest’area i vestiti e le scarpe si coprono di una sottile polvere grigiastra, gli occhi bruciano, si inizia a tossire e a sentire mal di testa. Nella sola provincia di Hatay, nel sud della Turchia, esistono almeno venti di questi depositi di grandi dimensioni ed è possibile vederne diversi altri più piccoli se si percorrono alcune delle strade che collegano le città principali.

A seguito dei terremoti che il 6 e 20 febbraio hanno colpito un’ampia area al confine tra Turchia e Siria, secondo i dati del governo, più di 227mila edifici sono crollati o sono stati danneggiati in maniera irreversibile. Secondo le Nazioni unite, tra crolli e demolizioni si dovrà trovare una collocazione a una quantità di detriti che va dai 116 ai 210 milioni di tonnellate, più di dieci volte quella prodotta dal terremoto del 1999 a Izmit, nelle vicinanze di Istanbul.

Nell’imminenza delle elezioni, che si terranno il 14 maggio, e dopo che si sono succedute nelle prime settimane dal sisma diverse voci di protesta per il ritardo nei soccorsi, il governo vuole dare un’immagine di velocità ed efficienza, ripulendo le città e aprendo cantieri di costruzione di nuovi complessi di abitazioni. Si privilegia la velocità anche quando è in gioco la salute.

Il dottor Ali Kanatlı, dell’Associazione Medica Turca, ci spiega che in attesa di rilevamenti sistematici si può presumere la forte presenza di amianto e di altre sostanze pericolose tra le macerie: «L’amianto è stato vietato dieci anni fa in Turchia ma la maggior parte degli edifici crollati o in via di demolizione è stata costruita negli anni precedenti. Pensiamo che sia presente anche il piombo, utilizzato nelle pitture murali, insieme ad altre innumerevoli sostanze tossiche contenute negli elettrodomestici, nelle automobili e nei dispositivi elettronici distrutti».

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Una delle proteste organizzate dai cittadini di Hatay (foto Luca Onesti)

«IL 25 GENNAIO 2013 – continua Kanatlı – è stata promulgata in Turchia una legge per prevenire l’esposizione dei lavoratori alla polvere di amianto e per proteggerli dai rischi per la salute, nonché per determinare valori limite e altre misure speciali. La rimozione, il trasporto e lo smaltimento delle macerie devono essere eseguiti secondo questa e altri leggi in materia. È necessario l’uso di macchine per l’irrigazione e l’aspirazione delle polveri, i camion devono essere coperti, il terreno su cui scaricare deve essere lontano da fonti d’acqua e isolato. Inoltre, la misurazione delle sostanze tossiche nell’aria va effettuata in modo continuo e se i valori sono superiori a quelli consentiti bisogna interrompere i lavori».

Nella città di Samandag lo stoccaggio arbitrario dei detriti e i rischi connessi per la salute e per l’ambiente hanno iniziato a suscitare preoccupazione tra gli abitanti, soprattutto dopo che una discarica è stata allestita a fianco di una tendopoli dove vivono decine di famiglie di sopravvissuti al terremoto. Gruppi di cittadini, associazioni ambientaliste e di solidarietà, a partire dalla fine di marzo hanno iniziato a organizzarsi ogni settimana con manifestazioni e incontri comunitari di sensibilizzazione.

Levent Büyükbozkırlı, ingegnere meccanico e attivista della Climate Justice Coalition, elenca gli obiettivi dei movimenti di protesta: «Le operazioni che non rispettano le leggi dovrebbero essere interrotte immediatamente; i siti per il deposito dei detriti andrebbero scelti secondo il parere di una commissione di esperti in campo ambientale e della pianificazione urbana; la separazione, il trattamento e la messa in sicurezza dei materiali pericolosi dovrebbero essere effettuati secondo i protocolli internazionali approvati dalla comunità scientifica. A seguito del terremoto di Kobe in Giappone del 1995 e in altri casi abbiamo visto che queste operazioni possono richiedere anni. Perché qui si ha questa fretta?».

IL VICEMINISTRO dell’Ambiente, dell’urbanizzazione e dei cambiamenti climatici, il professor Mehmet Emin Birpınar, con una serie di post su Twitter, ha dichiarato che si stanno rispettando tutte le misure necessarie e che non sono state trovate tracce di amianto nell’aria. La mancata applicazione delle leggi, al contrario, è evidenziata da tutta una serie di associazioni. Sulla base di ciò, l’avvocato Ecevit Alkan dell’Ordine professionale degli avvocati, insieme ad altre camere professionali, associazioni e ong ha intentato una causa al tribunale amministrativo di Hatay per l’immediata interruzione dei lavori di demolizione degli edifici e di trasporto e stoccaggio delle macerie.

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«In tempi normali – dichiara Alkan – tutto quello che sta accadendo qui in queste settimane sarebbe considerato illegale. Anche se le autorità locali, a cui è demandata la proposta dei luoghi dei depositi, non sono esenti da responsabilità, alla base di questa violazione dello stato di diritto è la dichiarazione, con un decreto governativo, dello stato di emergenza per tre mesi nell’area colpita dal terremoto. In questo modo sono stati lasciati nelle mani del prefetto tutti i poteri decisionali. Ma non si può in nessun caso, con un decreto, andare contro il diritto alla vita e alla salute delle persone che sono sopravvissute al terremoto. È per questo che vinceremo la nostra battaglia».

SECONDO LA STORICA Aslı Odman, docente all’Università Mimar Sinan di Istanbul, in questo momento «il treno del capitalismo in Turchia viaggia sulle macerie e lo stato di emergenza». Negli ultimi due decenni il governo dell’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) del presidente Erdogan ha costruito il suo consenso miscelando politiche neoliberiste di favore al settore privato a un discorso di tipo populista, promuovendo i settori dell’edilizia e delle grandi opere a principali motori dell’economia.

E persino ora che uno dei terremoti più devastanti della storia del paese ne ha dimostrato l’insostenibilità, lo stesso modello di sviluppo viene reiterato, approfittando del disastro per aprire un nuovo cantiere di rapida demolizione e ricostruzione privo di vincoli.