Quando un anno fa aveva giurato come nuovo presidente di Cuba – il primo dal 1960 a non avere il cognome Castro – Miguel Díaz-Canel aveva chiaro il compito che gli era assegnato: modernizzare il paese nella continuità con linea politica che i suoi due predecessori avevano stabilito. Lo slogan era: giungere a un socialismo prospero e sostenibile.

INGEGNERE, 58 ANNI la maggior parte dei quali trascorsa a salire i vari gradi del partito-stato – il Pcc – e con esperienza nel governo era il candidato «più preparato» per garantire la transizione a un governo retto dalla nuova generazione, quella di dirigenti nati dopo il trionfo della rivoluzione nel 1959.

E questo obiettivo – «rappresentiamo la continuità non la rottura» col socialismo proclamato da Fidel all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso – Díaz-Canel lo ha ribadito in più occasioni.

«Un primo importante risultato Díaz-Canel l’ha ottenuto facendo passi avanti nel rinnovamento dell’apparato burocratico e nella modernizzazione delle sue strutture», sostiene lo storico e analista Enrique López Oliva. «La nuova Costituzione entrata in vigore lo scorso 10 aprile rappresenta il quadro politico di questo rinnovamento. Ma ora inizia la fase di concretizzazione dei grandi principi in leggi interpretative che diano effettivamente inizio a un nuova fase storica per l’isola: il completamento delle riforme – non solo socio-economiche, ma anche, e direi soprattutto, politiche – iniziate da Raúl Castro. Ovvero una nuova legge elettorale, una maggiore autonomia del settore produttivo pur in un’economia pianificata, la divisione dei poteri tra presidente ed esecutivo e direi tra partito e Stato. E questo in un momento di gravi difficoltà economiche, acuite dalla politica sempre più aggressiva dell’Amministrazione Trump».

QUESTE DIFFICOLTÀ il presidente le conosce bene. «Per dirlo in buon cubano: la difficoltà del momento esige che noi stabiliamo priorità ben definite, per non ritornare ai momenti drammatici del periodo speciale» ha dichiarato Diaz-Canel il 13 aprile scorso alla conclusione della sessione straordinaria dell’Assemblea nazionale (il Parlamento unicamerale) che aveva posto in vigore la Costituzione. Periodo speciale era la definizione che Fidel Castro aveva dato della situazione venutasi a creare nel 1991 dopo la dissoluzione dell’Urss, che aveva provocato una caduta di circa il 30% del Pil di Cuba.
Lo stesso Raúl – nella sua funzione di primo segretario del Partito comunista – parlando di Fronte all’Assemblea nazionale aveva detto chiaro che bisognava prepararsi all’eventualità di un peggioramento della situazione. Si riferiva alle più recenti misure del presidente statunitense Donald Trump per strangolare l’economia di Cuba, paese che i falchi dell’Amministrazione Usa ritengono come il vero pilastro ideologico e sociale su cui poggia il socialismo adottato dai governi in Venezuela e Nicaragua. Ovvero quei «regimi» che secondo Trump «costituiscono un pericolo per la sicurezza degli Stati uniti».

RESTRIZIONI ALLE RIMESSE dei cubano-americani e al turismo degli statunitensi a Cuba, misure per bloccare le forniture di petrolio venezuelano all’isola e infine autorizzazione ai cittadini statuntensi per reclamare i beni Usa nazionalizzati dalla rivoluzione dopo il 1959 sono solo le ultime sanzioni decise da Trump, che si aggiungono a un embargo che dura da più di 60 anni.
La conseguenza di tale politica Usa aggressiva è il «peggioramento» a cui allude Raúl Castro: in crisi di liquidità il governo ha ridotto le importazioni con conseguenza scarsezza di generi di prima necessità: olio, uova, farina , carni di pollo e manzo. I supermercati mostrano flie di scaffali semivuoti. Persino i giornali – tutti statali- hanno ridotto la foliazione. E quando i prodotti giungono nei negozi , si producono lunghe fila di persone che cercano di comprare il più possibile, temendo che la situazione possa peggiorare ulteriormente.

«NELLE STRADE SI RESPIRA un’aria di estrema preoccupazione e ansia per il futuro prossimo. Specie tra i pensionati e i giovani», afferma López Oliva. I primi «perché non possono affrontare l’aumento dei prezzi, i giovani perché temono che la situazione possa peggiorare e dunque fornire loro meno opportunità».

La politica aggressiva del presidente Trump ha colpito Cuba mentre, in sostanza , il processo di riforme era in mezzo al guado, sostiene Camilo Condis, un giovane imprenditore famoso per il suo attivismo in Twitter, dove contesta le decisioni di vari funzionari statli. «Veramente mi auguravo maggiori cambiamenti e riforme più veloci in accordo con le esigenze dei tempi», afferma. In sostanza ritiene – come del resto i piccoli gruppi di opposizione – che la continuità abbia prevalso sull’urgenza delle riforme nella politica del presidente.

«IL VERTICE POLITICO in questo clima sta cercando di ravvivare una sorta di alleanza con la Chiesa cattolica, come del resto aveva fatto Raúl all’inizio del suo mandato – sostiene López Oliva – Un canale della tv ha trasmesso integralmente la Via Crucis di papa Francesco, la cui critica al neoliberismo ben si accorda con la politica di Cuba».