Lo sciame sismico va avanti ormai dalla settimana scorsa. Anzi, per meglio dire sono anni che da queste parti la terra non smette di tremare. Tra giovedì e venerdì, però, tre scosse di 4.6, 3.9 e 4.4 gradi sulla scala Richter hanno destato più di qualche preoccupazione tra gli abitanti dell’Umbria. Non solo per la loro forza, ma anche per i danni che hanno portato con sé: tra Pierantonio, Pian d’Assino e Sant’Orfeto, nel comune di Umbertide, gli sfollati sono cinquecento, centocinquanta dei quali dormono nelle palestre allestite dalla protezione civile: distese di lettini pieghevoli sistemati a scacchiera, una soluzione classica e che tuttavia non può durare più di qualche giorno.

Scene che si vedono con una frequenza inquietante sull’Appennino, con la popolazione ormai stremata dal sussulti delle due faglie attive che si incrociano al confine tra l’Umbria, le Marche, il Lazio e l’Abruzzo. Questa volta a muoversi è stata quella a nord, vicino alla Toscana, ma negli scorsi mesi a far ballare è stata quella che in sostanza congiunge la provincia di Perugia a quella di Macerata.

La redazione consiglia:
Risveglio da incubo, nelle Marche torna la paura del sisma
I VIGILI DEL FUOCO parlano di «decine di paesi» con edifici inagibili, ma la conta è in continuo aggiornamento perché i controlli vanno avanti ancora in queste ore. Di pari passo corrono anche le ordinanze di sgombero che, per esempio, nella frazione di Pierantonio riguarda il 90% dei palazzi, che presenta inagibilità di vario genere. Il campanile del paese sarebbe anche a rischio crollo e ulteriori verifiche verranno fatte nei prossimi giorni. A risentire delle scosse sono stati soprattutto i centri storici, con molti edifici che presentano inquietanti crepe sui muri. La maggior parte delle persone è andata via con la prima scossa, avvenuta nella serata di giovedì, poi gli altri si sono definitivamente convinti quando venerdì pomeriggio il colpo da 4.4 gradi ha fatto temere per qualche secondo il peggio.

Intanto, la governatrice regionale Donatella Tesei si appresta a chiedere la proclamazione dello stato d’emergenza nazionale, una misura che servirà soprattutto nella fase due, quando cioè si dovrà parlare di come riorganizzare la vita civile all’interno di questo nuovo cratere sismico. La richiesta di questa misura, per la verità, viene dalle opposizioni, che sin dal week-end hanno cominciato a lamentarsi dell’inerzia dell’amministrazione. «I presupposti normativi esistono – ha detto Tesei domenica mattina durante una riunione con la protezione civile -, avremo le condizioni per poter richiedere al governo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale. Questo per consentire di accedere ad alcune misure, come il contributo per l’autonoma sistemazione, e consentire alle persone che oggi hanno le case inagibili di trovare delle sistemazioni alternative. È una preoccupazione che abbiamo anche per le attività economiche che hanno le strutture inagibili e che, seppur in numero limitato, ci sono». Nel pomeriggio di ieri la giunta regionale ha fatto ufficialmente partire la procedura che, se tutto andrà per il verso giusto, impegnerà il governo già dai prossimi giorni.

E MENTRE SONO ancora in corsa per chiudere le pratiche del terremoto del 1997 e sono in pieno svolgimento quelle per le scosse del 2016 e del 2017, crescono le perplessità su un nuovo ricorso alle cosiddette soluzione abitative d’emergenza (le casette) per alloggiare gli sfollati: molto più probabilmente si procederà con la concessione di appartamenti veri e propri, anche se si porrà il problema della lontananza con il proprio comune di residenza.

LA PAURA, ADESSO, è per le eventuali nuove scosse. E per un precedente: la serie di terremoti della settimana scorsa si è abbattuta esattamente nelle stesse zone dell’aprile del 1984. La botta da 5.6 gradi Richter provocò in tutta la regione un totale di 100 feriti, seimila sfollati e 1.800 ordinanze di sgombero. E lunghi anni per rimettere tutto al suo posto. Ogni volta si ricomincia da capo.