L’Alleanza atlantica sta diventando più pacifica. Nel senso geografico del termine. C’è già una sigla per identificare la truppa dell’Asia-Pacifico sempre più integrata nei meccanismi della Nato: AP4. Include Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda. Già lo scorso anno, a Madrid, i leader dei quattro paesi hanno preso parte al summit annuale. E sono destinati a farlo anche a luglio, al vertice di Vilnius, in Lituania. Regolarizzazione di una partecipazione che non è un semplice invito di cortesia, ma il tentativo di approfondire una cooperazione che ha preso lo slancio con la guerra in Ucraina. Un processo che preoccupa la Cina, che si è più volte scagliata contro la creazione di una “Nato asiatica”. Prima del 24 febbraio 2022, nel mirino di Pechino c’erano soprattutto Quad (la piattaforma di sicurezza che comprende Usa, Australia, Giappone e India) e Aukus, il patto di sicurezza tra Usa, Regno unito e Australia che prevede il dispiegamento di sottomarini a propulsione nucleare nel Pacifico. Negli ultimi 16 mesi, però, i contatti sono sempre meno timidi tra i vicini di Pechino e la Nato vera e propria.

IL PREMIER giapponese Fumio Kishida è stato d’altronde il primo e più convinto assertore del legame tra quanto accade in Europa orientale e quanto può accadere in Asia orientale. Lo stesso timore utilizzato dall’Alleanza atlantica per giustificare l’apparente uscita dalla propria «giurisdizione territoriale». Sul suo sito, si legge che le «relazioni con partner affini in tutto il mondo sono sempre più importanti per affrontare questioni di sicurezza trasversali e sfide globali. Ecco perché il rafforzamento delle relazioni coi partner dell’Indo-Pacifico è un aspetto importante dell’agenda 2030».

Durante lo Shangri-La Dialogue di Singapore, sia il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin che l’assistente al segretario generale della Nato per le politiche di difesa Angus Lapsley, hanno assicurato che non è in programma la creazione di un’alleanza convenzionale, bensì l’approfondimento delle relazioni su settori «di interesse reciproco» come cyberspazio, nuove tecnologie, cambiamento climatico e sicurezza marittima. Ma il coinvolgimento del fronte orientale continua a crescere.
Nei mesi scorsi, la Corea del sud è diventata il primo paese asiatico a entrare nel centro di cooperazione di difesa cyber della Nato, con base in Estonia. Una mossa che ha fatto sussultare la Cina, infastidita dalla svolta in politica estera data da Yoon Suk-yeol, la cui amministrazione proprio ieri ha pubblicato la nuova strategia di sicurezza nazionale, pochi giorni dopo l’accordo per la condivisione di sistemi radar anti missile coi due partner. In Lituania andrà in scena l’ennesimo trilaterale Yoon-Kishida-Biden, mentre le richieste di invio diretto di armi in Ucraina da parte di Seul si fanno sempre più esplicite, anche durante una recente visita di Jens Stoltenberg.

LA MOSSA dalla portata simbolica e operativa più rilevante sarebbe quella dell’apertura di un ufficio Nato in Giappone. Tema su cui si sta lavorando, come confermato dallo stesso Kishida. Tokyo sembra ormai ben inserita negli ingranaggi dell’Alleanza atlantica. Tanto che mercoledì, in un bilaterale con l’omologo svedese, il ministro della Difesa Yasukazu Hamada ha espresso sostegno all’adesione di Stoccolma alla Nato.
Non tutti però sono d’accordo con l’allargamento, soprattutto se di dimensione «formale», della Nato in Asia-Pacifico. Tra questi non c’è solo la Cina, ma anche alcuni paesi membri come la Francia. Già scottata dall’accordo Aukus che le è costato un ingente cifra di sottomarini da inviare in Australia, Parigi considera un «grande errore» la possibile apertura dell’ufficio in Giappone, per la quale c’è bisogno dell’unanimità al Consiglio dell’Alleanza atlantica.

PECHINO sostiene da tempo che, «come già fatto con Mosca», Nato e Usa (anche attraverso un sistema di partnership di sicurezza più snello e compenetrabile tra le varie piattaforme di cooperazione bilaterale e trilaterale) vogliano accerchiarla, non tenendo conto delle sue «legittime preoccupazioni di sicurezza». La Nato in Giappone darebbe a Xi Jinping la prova per sostenere che i suoi timori sono reali.