L’auto con a bordo tre figli e tre nipoti del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è stata centrata da un raid israeliano nel primo pomeriggio di Gaza. Viaggiava nel campo profughi di Shati, così nella Striscia tutti chiamano Beach Camp, lungo la costa nord.

IL BOMBARDAMENTO l’ha presa in pieno mentre, ha poi detto Haniyeh, si dirigevano da alcuni parenti per l’Eid al-Fitr, il primo giorno della festa che chiude il mese sacro di Ramadan. Israele conferma a metà: erano diretti a «compiere un attacco terroristico».

A identificarli (perché i corpi – hanno raccontato i giornalisti sul posto – erano sfigurati) è stato lo stesso leader palestinese, dall’estero dove vive da anni: Hazem, Amir e Mohammed, tre dei suoi figli, sono stati uccisi insieme a tre nipoti. L’uccisione si aggiunge a quella di altri 60 membri della sua famiglia nei mesi scorsi. In un’intervista con al Jazeera Haniyeh l’ha definita un «fallimento» della strategia israeliana e ha promesso: «Non influenzerà le richieste di Hamas sul cessate il fuoco».

«Se pensano che colpire i miei figli all’apice del negoziato, prima che la nostra risposta in merito sia arrivata, ci porterà a cambiare posizione, stanno delirando». Per svariati analisti israeliani e internazionali, l’obiettivo di Tel Aviv sarebbe chiaro: una simile mossa, all’apparenza molto poco saggia, serve a far deragliare il dialogo. Di certo indebolirà un negoziato già difficilissimo tra Hamas e Israele. I punti di caduta sono ai poli opposti: cessate il fuoco duraturo el ritiro delle forze israeliane da Gaza, chiede Hamas; tregua temporanea e rilascio incondizionato degli ostaggi, chiede Israele.

In mezzo c’è Rafah. Ieri lo ha ricordato Benny Gantz, leader dell’opposizione al premier Netanyahu ma nel frattempo membro stabile del suo gabinetto di guerra. Poco prima del raid, aveva detto che Israele «tornerà a Rafah e tornerà a Khan Younis». E ha aggiunto: «È tempo di esercitare ogni forma di pressione su Hamas, militare e politica». Su questo secondo punto, Gantz ha chiamato in causa «gli Stati uniti e altri stati della regione».

WASHINGTON è però sempre più infastidita dall’ostinazione israeliana, un fastidio che potrebbe montare – scriveva ieri la giornalista Kimberly Halkett, dopo aver sentito fonti della Casa bianca – dopo il raid contro la famiglia di Haniyeh.

Da parte sua il presidente Biden ha espresso la crescente distanza dal governo israeliano in un’intervista a Univision, dove ha definito «sbagliato» il modo in cui Netanyahu conduce l’offensiva e «oltraggioso» l’attacco agli operatori umanitari di World Central Kitchen. Poi la bordata: «Gli israeliani devono solo chiamare il cessate il fuoco per sei, otto settimane e un accesso totale all’ingresso di cibo e medicine», «non ci sono più scuse».

Una stanchezza resa plastica dal contatto diretto che la Cia ha intrapreso con Hamas, secondo il Wall Street Journal: parlano senza intermediari, segno dell’urgenza di giungere a un qualche accordo. A pesare è Rafah, la minaccia di offensiva sulla città-rifugio aleggia come uno spettro.

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L’ASSENZA di chiarezza – con il governo israeliano che un giorno dice di avere una data sul tavolo, e un giorno no – è il plastico esempio della politica di voluta casualità dell’offensiva. I palestinesi di Gaza vivono da sei mesi nell’oscurità, privati della possibilità di compiere scelte di sopravvivenza e di immaginare, di certo non gestire, il proprio futuro. Tutti sono target possibili. Lo sono stati già in 33.482, l’ultimo bilancio di ieri.

L’Eid al-Fitr non ha portato quiete, quella di ieri è stata una delle giornate più pesanti delle ultime settimane con almeno 122 uccisi in 24 ore. Si è pregato tra le macerie, nel dolore per una celebrazione devastata dalla morte.

«L’Eid è tristezza. Dal mattino sono seduta davanti alla tomba di mio figlio», dice la mamma di Fouad Abu Khamash, paramedico della Mezzaluna rossa ucciso in un raid mentre stava lavorando. «Tutto quello che avevo è scomparso», dice Amany Mansour ad Al Jazeera, mentre piange suo figlio: «Lo scorso Eid era qui, tra le mie braccia. Ora è tutto finito».