Difendere i rider dalla calura come diritto alla sicurezza sul lavoro. Dopo Glovo, tocca a Uber Eats venire condannata. E stavolta la sentenza è molto più dura e ha un impatto generale su tutte le app che regolano il lavoro dei ciclofattorini.

Per la seconda volta in poche settimane, il tribunale del lavoro di Palermo si pronuncia in tutela dei rider che consegnano cibo a domicilio sotto il solleone.
Alla sentenza del 3 agosto, giovedì è seguito il pronunciamento del giudice Giuseppe Tango che in undici pagine di ordinanza ha condannato Uber Eats «a effettuare una specifica valutazione del rischio, a esposizione a ondate di calore e delle conseguenti misure necessarie per la tutela della incolumità del ricorrente (un rider palermitano di 36 anni, iscritto alla Cgil e che lavora per Uber Eats da più di due anni, ndr) e di prevenzione dei rischi lavorativi, a fornire un’adeguata formazione e informazione a consegnare, per la stagione estiva e dunque sino al 23 settembre, un contenitore termico con acqua potabile in misura non inferiore a un litro per ogni ora di esposizione ai raggi solari, dotazione di integratori di sali minerali, crema solare ad alta protezione, fornitura di salviette rinfrescanti; oltre al pagamento di 800 euro per le spese di lite».

Uber Eats è la app commissariata nel 2020 dalla Procura di Milano in una indagine per caporalato con violazioni anche delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Per Uber Eats lavorano un centinaio di rider a Palermo e più di 5 mila in Italia.

«È l’ennesima conferma che anche ai rider va assicurato il diritto alla sicurezza sul lavoro – commenta il segretario Nidil Cgil di Palermo Andrea Gattuso – . Dietro una battagila comequesta, fatta sostanzialmente per avere l’acqua, c’è l’idea che nel lavoro non c’è solo il valore del denaro ma un significato più ampio: non è più accettabile che multinazionali miliardarie si arricchiscono sfruttando i rider, negando loro perfino l’acqua».

Come il precedente, il ricorso era stato presentato assieme da Nidil, Filcams e Filt Cgil di Palermo e dagli avvocati Giorgia Lo Monaco, Maria Matilde Bidetti, Carlo de Marchis. «Diversamente da altre piattaforme – spiega l’avvocato De Marchis – Uber eats non considera il caldo come fattore di rischio dell’attività lavorativa sebbene l’Inal lo abbia espressamente imposto per l’ondata di calore di quest’anno. In più l’anno scorso, durante l’estate, incentivava i rider a lavorare durante le ore più calde sotto il sole, senza alcuna protezione». A giugno scorso Uber Eats aveva mandato a ogni rider una mail in cui chiedeva: «Non perderti la nostra scottante promozione prevista durante la fascia oraria 13,00-16,00: incentivi ad obiettivo» che «assicurano un guadagno extra al completamento di un numero specifico di corse, indicate nell’App, all’interno di una fascia oraria predefinita», spiegava la mail.

«Adesso questa sentenza, molto più dell’altra, ha imposto di modificare il Documento di Valutazione dei rischi (Dvr) e quindi ha naturalmente un’efficacia per tutti i rider di Uber Eats e non potrà essere ignorata dalle altre piattaforme», conclude De Marchis.