Erano i migranti lasciati a se stessi nel Cas Le Caravelle, centro di accoglienza straordinaria nella frazione di Riotorto di Piombino, il miglior “serbatoio di manodopera” per il fertilissimo territorio della Val di Cornia. A portarli nei campi si usavano grossi furgoni in partenza quotidiana prima dell’alba, in un disinteresse generale rotto solo da un controllo dei carabinieri. E’ così che nel maggio dello scorso anno è partita l’indagine “Piedi scalzi”, che ora ha portato all’arresto di dieci caporali pakistani che sfruttavano cinicamente la necessità di lavorare di loro connazionali e di bengalesi. Ragazzi che, dovendo aspettare per implicita volontà governativa anche più un anno prima di ottenere uno straccio di documento, accettavano condizioni di lavoro indegne e pagate una miseria pur di mettere qualche euro da parte. Anche per non deprimersi, visto il meccanismo infernale messo in piedi dal Viminale per ritardare in ogni modo una pur temporanea regolarizzazione.

Tutti abitanti nelle province di Siena e Grosseto, sei caporali erano titolari di ditte individuali, gli altri quattro reclutavano. Ora sono accusati di intermediazione illecita di manodopera e di sfruttamento: così come spiegato dagli ufficiali dell’Arma Piecarmine Sica e Giorgio Pogetti i rifugiati erano impiegati nella raccolta di olive, ortaggi, uva e nella pulizia di vigneti con turni anche di oltre 10 ore, quasi senza pause. La paga, va da sé, era ben più bassa rispetto al contratto del settore e senza i contributi, oltre che in palese violazione delle leggi su sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, riposi e ferie.

La paga oraria, in nero, variava fra i 3 e i 9 euro al massimo, in un caso addirittura a 0.97 euro. Una miseria che veniva pagata anche con mesi di ritardo, talvolta mai. Per di più c’era da pagare la stecca ai caporali. E quando un imprenditore della zona spiegò che per un paio di giorni non si poteva lavorare perché i campi erano inzuppati d’acqua piovana, la risposta di un caporale fu emblematica: “Li mandiamo a piedi scalzi, così non c’è il problema che rimangano impantanati con le scarpe”.

“Quest’ennesimo caso è la fotografia di un’economia agricola sofferente – tira le somme Mirko Borselli che guida la Flai Cgil toscana – nonostante i continui sforzi per riportare la legalità nel settore. Questo anche grazie alla legge 199/2016 contro il caporalato, e al sindacato di strada che stiamo mettendo in pratica da anni. Eppure l’indagine dimostra quanto ancora ci sia da fare per garantire l’applicazione di leggi e contratti”.

Interviene anche la Flai nazionale, che ricorda come la legge 199/16 preveda le Sezioni territoriali del “lavoro agricolo di qualità” per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, il collocamento pubblico, le politiche di accoglienza e il trasporto dei braccianti. Prevenzione insomma. Ma basta il dato locale – otto anni dopo in metà delle dieci province toscane le Sezioni territoriali non esistono – per capire che a molti va bene così. A partire dal governo.