È l’unica con le idee sufficientemente chiare e l’obiettivo saldamente agganciato al mirino. Anche la sola non ancora piegata all’idea di «missione impossibile» per salvare l’Europa dall’implosione dell’Ue. Assente dalla cancelleria dal 17 luglio, Angela Merkel rimane il perno per qualunque soluzione passante per Bruxelles, Londra, Roma, Parigi e perfino Mosca; senza contare L’Aia, sempre più prigioniera dei No del primo ministro Mark Rutte.

Presidente del Consiglio europeo da ventuno giorni e leader della GroKo fino all’autunno 2021, l’ex «ragazza dell’Est» non ha alcuna intenzione di perdere la battaglia politica più importante della sua carriera. Per questo «gioca» contemporaneamente su tutti i tavoli necessari a portare a casa il risultato che si è prefissata nella testa. Dalla parte dell’Italia contro i diktat dei Paesi frugali, a fianco della Francia sul fronte di Brexit e Bce, ma anche vicina al Regno Unito per contenere l’ ingerenza della Russia nell’Ue. Eppure dialogante con l’Austria e – al di là della propaganda – pure con i riottosi leader del Blocco di Visegrad: dalla Polonia del rieletto Duda, all’Ungheria di Orban che resta, formalmente, un democristiano come lei.

Del resto, da un ventennio «Mutti» è votata al multitasking istituzionale e addestrata a muoversi sugli opposti fronti politici. Deve solo capire cosa vogliono, davvero, i suoi interlocutori. «Qual l’obiettivo di Roma? Quali concessioni è disposta a fare, in cambio?». Sono le due domande che Merkel ha formulato al presidente Conte già nel corso del summit al castello di Meseberg la scorsa settimana: la «merce» da vendere nella trattativa con i leader dei Paesi frugali.

Sebbene la linea-rossa della relazione bilaterale passi, nella pratica quotidiana, anzitutto per i due uomini-chiave dell’asse Roma-Berlino: il primo è Piero Benassi, ambasciatore in Germania dal 2014 al 2018, nominato lo scorso settembre consigliere diplomatico di Conte e «sherpa» del governo per i vertici del G7 e G20. Conosce la “mentalità” di Berlino meglio di qualunque altra feluca della Farnesina, e gode della stima delle più alte cariche della Bundesrepublik a cominciare dal presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, che l’anno scorso gli ha conferito la Croce al Merito.

Il secondo è Viktor Elbing, ambasciatore tedesco a Roma: il più «italiano» dei diplomatici dell’Auswärtiges Amt, non solo perché si esprime da madrelingua e gira per Roma in Vespa. Entrambi guidano la ricerca della soluzione comune, come un auto con i doppi comandi.

Proprio come le due donne che beneficiano della fiducia quasi incondizionata di Merkel: l’ex delfina Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Christine Lagarde, capo dell’Eurotower di Francoforte. Voci armonizzate con la sua politica di mediazione, che «Mutti» ritiene fondamentali per puntellare l’Europa in formato franco-tedesco minacciata dalle forze centrifughe.