La liberazione degli ostaggi nelle mani dei jihadisti di Iyad Ghali sembra figlia della classica intesa win-win. Gioiscono per primi i quattro ex-ostaggi con le rispettive famiglie (e noi con loro). Sullo sfondo intanto ognuno canta la sua vittoria: la giunta militare che ha preso il potere da meno di due mesi, per la ciliegina sul governo di transizione appena servito alla comunità internazionale; Macron, per la liberazione della volontaria Sophie Pétronin e la prova di continuità offerta dai nuovi governanti del Mali – paese chiave per gli interessi francesi nella regione; Conte, per il ritorno a casa di Chiaccio e Maccalli.

[do action=”citazione”]Motivi per essere soddisfatti ne hanno anche i jihadisti, che in cambio si sono visti restituire un numero imprecisato di miliziani, secondo alcune fonti quasi duecento, più una somma in denaro.[/do]

Tutti felici, tranne la popolazione civile presa tra più fuochi di un conflitto che coinvolge a vario titolo diversi gruppi armati in lotta per imporre la sharia, le forze armate maliane, la Francia con i 5 mila uomini della forza Barkhane, gli eserciti di quattro stati confinanti che partecipano al G5 Sahel, la missione Minurso dell’Onu, ribelli ed ex ribelli dell’indipendentismo tuareg…

Con l’adesione alla rete pazientemente tessuta da Parigi, che intende così ridistribuire i carichi del contrasto al terrorismo e alle rotte dell’immigrazione illegale, ora c’è dentro anche l’Italia. Più o meno timidamente, con la solita foglia di fico dei compiti di addestramento e logistica. Pura retrovia insomma. Ma la partecipazione alla task force Takuba potrebbe aver creato buoni presupposti per il lavoro portato a casa dai servizi italiani al fianco di quelli transalpini.

Così come deve aver lubrificato non poco il meccanismo della trattativa l’ingresso nel nuovo governo maliano di una componente salafita moderata, se mi si passa l’ossimoro, legata all’imam populista Mahmoud Dicko – figura chiave del nuovo corso a sua volta legato alle confraternite, come la transnazionale Tidjianiyya, che dettano legge (coranica) dai cortili ombreggiati delle madrase. Dicko ha sempre avuto un canale aperto privilegiato proprio con Iyad Ag Ghali, già da quando uno sosteneva l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita (che ha lavorato per l’esito di cui paradossalmente godono ora i militari golpisti) e l’altro era a capo della formazione jihadista Ançar Dine. La cosa non ha mai impedito a Dicko di giustificare l’intervento militare francese, cosa che lo rende per Macron – e l’aggrovigliata scena politica maliana – un interlocutore perfetto. E pazienza se è convinto che il terrorismo sia un castigo di dio contro il dilagare dell’omosessualità.

 

Mahmoud Dicko parla alla folla durante una delle manifestazioni che hanno logorato il potere del presidente Keita (Ap)

 

Dicko ha sempre avuto un canale aperto privilegiato proprio con Iyad Ag Ghali, fin da quando uno sosteneva l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita (che ha lavorato moto per l’esito di cui paradossalmente godono ora i militari golpisti) e l’altro era a capo della formazione jihadista Ançar Dine. La cosa non ha mai impedito a Dicko di giustificare l’intervento militare francese, cosa che lo rende per Macron – e l’aggrovigliata scena politica maliana – un interlocutore perfetto. E pazienza se è convinto che il terrorismo sia un castigo di dio contro il dilagare dell’omosessualità.

Gioiscono in queste ore anche i sostenitori di Soumaila Cissé, il quarto ostaggio liberato, esponente dell’opposizione rapito in marzo nella sua Niafunké, remota località del nord che gli appassionati di musica conoscono solo per via di Ali Farka Touré e l’immane forza che le sue canzoni esprimevano a partire dalle stesse diversità che ora sembrano capaci solo di lacerare la società maliana, opponendo con modalità sanguinose ribelli ed esercito, allevatori e contadini, islamisti e miscredenti.

Non consegnerei a nessuno un’arma che un giorno potrebbe essere puntata contro di me, amava dire il musicista maliano. Ma parlava di cultura e oggi faticherebbe a riconoscere un Paese in cui certe metafore suonerebbero fuori luogo.