«Ti stai per schiantare contro un muro a 100 chilometri all’ora. Sai che morirai. Allora ti getti fuori dall’auto. Riuscirai a sopravvivere? Non lo sai, ma almeno hai una chance». È questa l’immagine, in realtà poco rassicurante, utilizzata da Mauricio Macri – il presidente che ha portato l’Argentina a schiantarsi sul serio contro il debito di oltre 44 miliardi di dollari contratto nel 2018 con il Fmi – per giustificare il suo sostegno a Javier Milei. E che il candidato anarco-capitalista rappresenti una chance, per quanto disperata, per il paese, sembra crederlo una parte consistente della popolazione argentina (se maggioritaria lo si saprà fra poche ore).

UNA CHANCE imperdibile, invece, è quella che Milei e la sua vice, Victoria Villarruel, rappresentano per i torturatori della dittatura militare, il Proceso de reorganización nacional, i quali guardano al ballottaggio di oggi con un’inconfessabile speranza: quella di un indulto o un’amnistia. Il più euforico è Jorge Acosta, detto el Tigre, il responsabile delle operazioni di intelligence del grupo de tareas, cioè degli interrogatori e delle torture cui erano sottoposti i sequestrati all’Esma – la scuola di meccanica della marina a Buenos Aires trasformata tra il 1976 e il 1983 nel più grande centro clandestino di detenzione, tortura e sterminio – ai quali diceva di ricevere da Gesù stesso indicazioni sui detenuti da eliminare. «Si avvicina l’ora della verità», aveva dichiarato già all’indomani del primo turno.

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Ma sono decine i repressori della dittatura, in carcere o ai domiciliari, che hanno chiesto ai tribunali l’autorizzazione per votare, a cominciare da Alberto Jorge Crinigan, ex ufficiale di intelligence sotto processo per crimini di lesa umanità, co-autore di un libro negazionista (La nación dividida: Argentina después de la violencia de los ’70) in cui compare anche la firma di Villarruel. Fremono per recarsi alle urne anche diversi criminali della Esma, come ad esempio Alejandro D’Agostino, uno dei piloti del volo della morte da cui il 14 dicembre del 1977 vennero gettate in mare, tra gli altri, le Madri di Plaza de Mayo Azucena Villaflor, Esther Ballestrino de Careaga e María Eugenia Ponce de Bianco e le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet.

TANTO ENTUSIASMO si spiega facilmente: sia Milei che, soprattutto, Villarruel, o «Villacruel», come viene chiamata, parlano degli orrori del regime militare come di una «guerra» contro il comunismo, negando che sia mai esistito il terrorismo di stato. La candidata a vice, nota per le sue visite in carcere al genocida Jorge Rafael Videla e ad altri torturatori, si è spinta però anche oltre, sostenendo che le organizzazioni per i diritti umani sarebbero state create per «continuare la guerra per un’altra via», criticando i contributi statali alle vittime della dittatura e definendo figure come Estela de Carlotto personaggi «sinistri» e madri di terroristi colpevoli, loro sì, di «crimini aberranti». Altro che sequestri, torture e voli della morte.

L’ULTIMA SUA PERLA è stata la proposta di chiudere il Museo della memoria aperto nella Esma, dichiarato a settembre dall’Unesco patrimonio storico dell’umanità e simbolo di un paese che ha lottato duramente affinché la memoria di quanto accaduto non venisse persa: «Si tratta di 17 ettari – ha detto – che potrebbero essere usati a favore di tutto il popolo argentino, tanto più che inizialmente erano stati destinati alla costruzione di scuole». E quanto quel museo la infastidisca era risultato chiaro già ad agosto, quando lo aveva definito «un museo in cui la memoria ha perso la memoria».

MA ANCORA più graditi alle orecchie dei macellai della dittatura sono i suoi attacchi ai processi per crimini di lesa umanità, da lei definiti «un’industria», e ritenuti vessatori nei confronti degli accusati. Già nel dicembre del 2005, del resto, Villarruel marciava a favore di «un natale senza prigionieri politici»: i carnefici trasformati in vittime.
Sono già tornati, intanto, i simboli della dittatura: personaggi della politica e della cultura, come il presidente della Juventud Radical Agustín Rombolá, hanno ricevuto messaggi intimidatori con un riferimento comune, quello al passaggio del tristemente celebre Ford Falcon verde, il veicolo utilizzato dai militari per i loro sequestri.