«Provenienza: Museo Egizio di Torino…Ma cosa ci fa questa statuetta in Italia?», si chiede indispettito, davanti a una delle tante vetrine prese d’assalto, un visitatore della mostra Pharaons Superstars (al Mucem di Marsiglia fino al 17 ottobre; dal 25 novembre al 6 marzo 2023 l’esposizione si sposterà al museo Calouste Gulbenkian di Lisbona).
La domanda non potrebbe essere più attuale, come prova, ad esempio, l’appello (https:// www.repatriaterashid.org) promosso da un gruppo di egittologi guidati da Monica Hanna – preside ad interim del College of Archaeology and Cultural Heritage di Assuan – per la restituzione della Stele di Rosetta, confiscata dagli inglesi alle truppe franco-ottomane dopo la resa di Alessandria del 1801 e conservata dall’anno successivo al British Museum. La richiesta, indirizzata al primo ministro egiziano Moustafa Madbouli affinché si impegni a dar seguito alla petizione, è stata rilanciata il 6 ottobre dall’Ansa.

IL DOCUMENTO TRILINGUE in diorite nera costituì – com’è noto – la chiave di volta per la decifrazione dei geroglifici da parte di Jean-François Champollion, evento di cui ricorre quest’anno il celebratissimo bicentenario. I sostenitori dell’istanza, che ha raccolto finora 2500 firme, affermano che il reperto debba considerarsi un bottino di guerra: la stele fu infatti sottratta all’Egitto sulla base di un trattato che già allora violava le norme relative al saccheggio di antichità. E se la Storia non può essere cambiata – si legge nel testo dell’appello – deve almeno essere emendata. La sensibilità riguardo al tema del patrimonio «coloniale» rivelata dai fruitori della rassegna marsigliese, riveste particolare importanza oggi che agli avventurieri dell’Ottocento sono subentrati spregiudicati mercanti d’arte, esperti nel depredare la terra del Nilo per impreziosire, su scala mondiale, collezioni private e persino pubbliche.

Pubblicità della guaina modellante Egyptian Queen della marca Peter Pan (New York, 1954)

RITARDATA DI DUE ANNI a causa dell’epidemia di Covid-19, l’esposizione curata da Fréderic Mougenot e Guillemette Andreu-Lanoë, coincide con il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon. E proprio il faraone bambino rappresenta uno dei protagonisti della mostra. L’allestimento, ideato come un tracciato che vuole suggerire la concezione ciclica del tempo presso gli Egizi, è stato realizzato da Émilie Delanne e Amélie Lauret dello studio parigino Græpheme Scénographie: trecento gli oggetti esibiti lungo un percorso che – malgrado l’intramontabile attrazione suscitata dalla civiltà egizia – stupisce il pubblico soprattutto per inaspettati «colpi di scena». Assieme a reperti del passato più remoto, si trovano infatti anche una stampa ottocentesca che raffigura il faraone nubiano Sesostris III quale predecessore di Napoleone I, un preservativo della marca canadese Ramses e un fiasco di «whisky Cleopatra» dal Nepal risalente a metà del Novecento. Più che di fortuna dell’antico si tratta qui di una cultura popolare generatasi – come asserisce Andreu-Lanoë – per «ironia della Storia».
Dei circa 340 faraoni che regnarono in Egitto durante 3000 anni solo una manciata sono «rinati» per diventare, come suggerisce il titolo della rassegna, delle superstar. E pensare che Tutankhamon sprofondò nell’oblio immediatamente dopo la prematura morte. A testimoniarne la dannazione della memoria una superba statua in granodiorite (1330 -1320 a.C.), proveniente da Karnak o Luxor (ora al Louvre), che ritrae il dio Amon nell’atto di tendere il segno della vita (ankh) al re, della cui figura non restano che i piedi.

NONOSTANTE il giovanissimo sovrano avesse abolito la religione di Aton instaurata dal padre Amenhotep IV, il suo nome venne eraso dalle liste reali e la sua effigie distrutta. Stessa sorte era toccata, ovviamente, all’eretico genitore (più conosciuto con il nome di Akhenaton), di cui in mostra si può osservare il frammento di un busto decapitato da Amarna (1349-1333 a.C.), martellato in corrispondenza delle clavicole e dei cartigli incisi sul petto, in prestito dal British Museum. La damnatio memoriae non risparmiò le regine: Hatchepsout subì la vendetta di Thutmosis III, al quale – nel ruolo di coreggente – aveva usurpato il potere: le sue statue vennero sfregiate, spezzate e infine sepolte. Gli iconoclasti si scagliarono con violenza anche sui ritratti di Nefertiti, la sposa di Akhenaton, come si evince da una testa di calcare nummulitico custodita al Museum Folwang di Essen (foto e scheda del reperto si trovano nel prezioso catalogo dell’esposizione edito da Actes Sud con il Mucem). Eppure, se dal Medioevo al XIX secolo in Europa e nel mondo arabizzato persiste solo il ricordo dei faraoni citati dagli storici greci o latini (i leggendari Amasis, Psammetico I e Nectanebo II, terzo faraone della XXX dinastia e ultimo sovrano dell’Egitto indipendente), saranno poi soprattutto Ramses II, Akhenaton, Nefertiti e Tutankhamon a raggiungere Cheope e Cleopatra tra le icone di un mondo occidentale sempre più mediatizzato.

Jean Marquis, vista dell’esposizione Tutankhamon e il suo tempo a Parigi nel 1967

LA DECIFRAZIONE dei geroglifici nel 1822 e, un secolo più tardi, la scoperta della tomba del faraone bambino e della sua maschera funeraria, che nel 1967 ammaliò più di un milione di estasiati «spettatori» a Parigi, contribuirono al dilagare dell’«egittomania» e alla proliferazione – fino ai nostri giorni – di opere d’arte e gadget ispirati all’antico Egitto. Ramses, star della pubblicità e Cleopatra eroina dei peplum ma anche di film polizieschi ed erotici, trasformano le sale del Mucem in una galleria «pop», in cui Nefertiti è però regina incontrastata nelle sue numerosissime rappresentazioni moderne (da segnalare anche una riproduzione tattile in scala per non vedenti del famoso busto conservato al Neues Museum di Berlino).
L’ultima sezione della mostra non manca di indagare l’aspetto politico e identitario del patrimonio dell’Egitto, legato sia ai nazionalismi del primo Novecento che alla rivoluzione del 2013, quando un’accigliata Nefertiti (ancora lei!) con maschera a gas – graffito dell’artista El-Zeft – comparve tra i muri del Cairo in sostegno dei ribelli.

SCHEDA

In occasione del centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, Garzanti ha ristampato il diario di Howard Carter (Tutankhamen, pp. 444, euro 18), la cui prima edizione italiana risale al 1973. Il volume è arricchito da una lunga prefazione di Christian Greco, egittologo dalle idee innovative che dal 2014 dirige con competenza e passione il Museo Egizio di Torino. Greco è inoltre impegnato nella divulgazione e nella condivisione delle conoscenze archeologiche con la comunità, rivolgendo sempre un’attenzione particolare al pubblico dell’infanzia (tra i progetti portati avanti dal Museo Egizio si segnala, infatti, anche un ciclo di lezioni tenuto dal direttore presso l’ospedale infantile Regina Margherita di Torino).
Non stupisce dunque che sia proprio Greco a firmare Tutankhamun. La scoperta del giovane faraone (De Agostini, pp. 232, euro 13,90). Il volume, rivolto ai ragazzi, è diviso in due parti. Nella prima, l’autore descrive il regno di Tutankhamun (questa la grafia preferita dallo specialista) e l’Egitto di quell’epoca. Nella seconda, racconta, con dovizia di dettagli e rari aneddoti, l’ostinata impresa di Carter, il quale – grazie al sostegno finanziario di Lord Carnarvon e a una formidabile squadra – nel 1922 sovvertì ogni pronostico «risvegliando» dalla sabbia della Valle dei Re il figlio di Akhenaton.
Il volume, che consta anche di un glossario e di numerose schede illustrate, non risulterà meno gradevole agli adulti desiderosi di scoprire, come Carter, «cose meravigliose». Anche il libro illustrato Scheletri e mummie. Storie e segreti dell’oltretomba, di Matt Ralphs e Gordy Wright (Editoriale Scienza, pp. 64, euro 15,90) intende celebrare la scoperta della tomba di Tutankhamon, la cui maschera funeraria d’oro tempestata di pietre preziose richiama i piccoli lettori fin dalla copertina. (va. po.)