Tra le tante unicità che la scoperta della tomba di Tutankhamon può vantare c’è anche quella di aver restituito il più grande arsenale dell’antico Egitto, indubbiamente uno dei più importanti in assoluto per l’Antichità.

Come la stragrande maggioranza degli oggetti stipati nella tomba KV62, anche le armi e gli equipaggiamenti militari sono stati rinvenuti dall’egittologo britannico Howard Carter in uno straordinario stato di conservazione. Sei carri da guerra completi con la relativa attrezzatura, una trentina di archi compositi e quattordici semplici, centinaia di frecce, due fionde di corda, trentaquattro tra boomerang e bastoni da lancio, otto scudi, una corazza di scaglie in cuoio, due khopesh (spada ricurva a forma di falce ndr) di bronzo e tredici mazze di legno erano stati deposti nei piccoli ambienti che compongono l’ultima dimora del giovane faraone.

Sebbene si tratti in larga misura di oggetti di rappresentanza, frutto del più raffinato artigianato, essi offrono un’eccezionale testimonianza della varietà dell’equipaggiamento per la guerra e la caccia in uso alla fine del Periodo Amarniano (ca. 1348-1320 a.C.).

Anche sul corpo imbalsamato di Tutankhamon, tra gli strati di bende di lino, erano stati collocati due pugnali di squisita fattura. Il primo, con la lama e il fodero in oro – più che un’arma, un vero e proprio capolavoro di oreficeria – era fissato sull’addome del faraone tramite una cinturina di lamina d’oro. Il secondo era invece posto sulla coscia destra del faraone. Oltre al fodero in oro, il pomo in cristallo di rocca e l’impugnatura in oro, lapislazzuli e pasta vitrea colorata, l’arma è resa unica dalla presenza di una lama a doppio taglio in ferro, eccezionalmente preservata.

Dal momento del rinvenimento, il pugnale ha focalizzato l’interesse della comunità scientifica, in virtù del fatto che la tecnologia necessaria per la fusione del ferro era ben lungi dall’essere padroneggiata in Egitto durante il regno di Tutankhamon (ca. 1336-1327 a.C.). La ricerca si è concentrata soprattutto sulla provenienza del metallo e sui procedimenti impiegati nella realizzazione della lama. Ma se da una parte l’origine meteorica del ferro è stata ipotizzata fin dagli anni trenta del secolo scorso, dall’altra poco o nulla di certo si è potuto affermare riguardo alla tecnologia utilizzata.

L’articolo The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger blade, pubblicato nel 2016 sulla rivista «Meteoritics & Planetary Science» da un team di ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università di Pisa, ha stabilito con autorevolezza la provenienza meteorica della lega ferrosa utilizzata nella fabbricazione del pugnale. Tramite la spettrofotometria XRF – analisi non distruttiva che permette di identificare la composizione chimica del campione esaminato – è stata rivelata un’alta percentuale di nikel (11%) assieme a tracce di cobalto (0,6%), fosforo, zolfo e carbonio. Dati che hanno confermato l’origine «extraterrestre» della lama.

I ricercatori, inoltre, hanno tentato di determinare quale fosse il possibile meteorite ferroso da cui era stata tratta la lega. Con l’ausilio di MetBase, la più grande banca dati di meteoriti al mondo, sono stati vagliati i dati relativi a un’area dal raggio di duemila chilometri, arbitrariamente centrato nel Mar Rosso. Le informazioni ottenute hanno permesso di individuare nel Deserto occidentale, non lontano da Marsa Matruh in Egitto, un meteorite chiamato Kharga, la cui composizione chimica parrebbe compatibile con quella dell’arma.

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L’avvento del centenario della scoperta della tomba di Tutankhamon, ha nuovamente rinfocolato l’interesse degli studiosi intorno al pugnale. Nel solo 2022, a questo riguardo, sono stati infatti pubblicati due rilevanti studi.

L’articolo The manufacture and origin of the Tutankhamen meteoritic iron dagger, comparso in febbraio sulla rivista «Meteoritics & Planetary Science», aggiunge alcuni tasselli alla comprensione dell’oggetto. I ricercatori giapponesi del Chiba Institute of Technology, autori dello studio, oltre a confermare l’origine meteorica della lega, hanno appurato che essa venne lavorata a bassa temperatura, inferiore ai 950° c.

Hanno poi ipotizzato la possibile provenienza dell’arma dall’area ittita o mitannica, sulla base della presenza nell’impugnatura di una sostanza adesiva a base di calcare, largamente impiegata dagli artigiani dell’Anatolia e del nord della Mesopotamia ma pressoché sconosciuta in Egitto al tempo di Tutankhamon.

A corroborare l’ipotesi dell’origine vicino-orientale del pugnale, è stata chiamata in causa dagli studiosi la tavoletta cuneiforme EA 22, parte dell’archivio diplomatico ritrovato presso il sito di Tell el-Amarna in Egitto. Il testo della tavoletta è in effetti una lista di splendidi doni nuziali offerti da re Tushratta di Mitanni in occasione del matrimonio di sua figlia Taduhepa con il faraone Amenhotep III (ca. 1386-1353 a.C.), nonno di Tutankhamon. Tra gli oggetti elencati compare anche una daga le cui caratteristiche paiono combaciare con quelle del pugnale di Tutankhamon, compresa la lama di ferro.

Pubblicato a breve distanza dal precedente articolo, il controverso Iron from Tutankhamun’s Tomb (The American University in Cairo Press, pp. 76, £ 29.95) è più cauto nell’evidenziare delle conclusioni, rispetto agli studi che lo hanno anticipato. Nel libro, gli scienziati del Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Magonza hanno raccolto i risultati delle analisi sul pugnale e altri piccoli oggetti di ferro del corredo di Tutankhamon. La lama è stata sottoposta nuovamente a spettrofotometria XRF, confermando sostanzialmente i dati ottenuti nel 2016 dal team italiano. Tuttavia, i ricercatori hanno asserito che non sia possibile stabilire con certezza l’origine del metallo degli oggetti esaminati e che il tentativo di relazionarli a un meteorite conosciuto sia altamente speculativo.

Quel che è sicuro è che il pugnale rappresenta un esempio unico di quello stile artistico internazionale che tanta fortuna ebbe tra le élite della Tarda Età del Bronzo, grazie al fitto reticolo di rapporti diplomatici e scambi commerciali che univa le civiltà affacciate sul Mediterraneo orientale