I soli numeri non bastano a capire l’impatto della nuova ondata di contagi di Covid-19 che ha travolto la Tunisia nelle ultime settimane. Le immagini che provengono da fuori e dentro le strutture ospedaliere parlano chiaro: in alcune regioni la gente non trova letteralmente l’ossigeno per respirare. Come a Kairouan, città dell’entroterra tunisino e una delle più colpite dall’emergenza sanitaria. Da settimane il tasso di positività si attesta tra il 45 e il 50 per cento. In un Paese dove i tamponi antigenici costano circa 50 euro l’uno e in una città che segna un tasso di povertà del 29,2%, i numeri potrebbero essere ancora più inquietanti. Nell’ospedale Ibn Jazzar non esiste più una distinzione formale tra reparti e il personale medico è costretto a lavorare come può. Il governo ha risposto a questa emergenza annunciando un lockdown regionale e installando un ospedale da campo. Soluzioni che fin da subito si sono dimostrate insufficienti.

«La situazione è molto grave. Gli ospedali sono colmi e alcuni servizi di rianimazione sono pieni a più del 100 per cento – dichiara a il manifesto Slim Ben Salah, presidente uscente dell’Ordine nazionale dei medici – anche le strutture private sono sature».

Kairouan è l’esempio lampante di una situazione che è sfuggita di mano ma non è il solo. Altre città come Beja, Jendouba e Sousse sono state “chiuse”, riducendo per un attimo la distanza economica e sociale che segna il passo tra l’entroterra e la costa. Tunisi non fa eccezione. Nonostante il coprifuoco nazionale e alcune forme di prevenzione non siano mai state formalmente revocate, la vita nella capitale è proseguita fino all’annuncio di un lockdown parziale in tutta la regione di Grand Tunis a inizio luglio.

«Al momento non sappiamo come tutto questo andrà a finire perché le cifre sono inquietanti sia per i nuovi contagi sia per i morti. E c’è anche un problema di vaccinazione, solo il 5 per cento della popolazione è completamente vaccinata. La mancanza di dosi è un discorso che riguarda anche il personale medico», prosegue Ben Salah.

Al 3 luglio i casi di positività erano 443.631 su una popolazione di quasi 12 milioni di persone. Dopo la prima ondata, a metà 2020 i morti dichiarati erano 51. Oggi sono più di 15 mila. La Tunisia è il Paese che presenta i dati peggiori in tutto il Nord Africa. Come si è arrivati a tutto ciò? Da un lato le misure di prevenzione non hanno funzionato. I café colmi, i mercati cittadini che hanno ritrovato una quotidianità e il mancato rispetto della distanza interpersonale (a volte obbligato come sui mezzi di trasporto) sono il segno di una mancata consapevolezza dei rischi. Dall’altro l’emergenza sanitaria ha palesato tutte le criticità del settore ospedaliero. La Tunisia è anche il Paese dove ogni anno tra i 700 e 800 praticanti partono per la Francia o la Germania. I medici rianimatori sono 160 nel settore pubblico, 250 operano nel privato e 500 all’estero.

Le denunce proseguono da tempo. A dicembre dell’anno scorso il crollo di un ascensore all’ospedale di Jendouba aveva portato alla morte di Badreddine Aloui, aspirante medico di 26 anni. Oltre a strutture adeguate, le necessità per gli ospedali tunisini sono precise e mirate: «Serve ossigeno, riceviamo delle donazioni ma siamo in totale rincorsa rispetto alla gravità della situazione», conclude Ben Salah.
Il 5 luglio il presidente della Repubblica Kais Saied ha convocato al palazzo di Cartagine una riunione urgente con il premier Hichem Mechichi e alcuni membri del governo, anche qui riducendo per un attimo lo scontro politico in atto tra i due principali esponenti dello Stato. Dicendosi preoccupato per la situazione sanitaria, Saied ha palesato la sua contrarietà a un lockdown nazionale, come suggerito dal Comitato scientifico. «Come possiamo fare questo quando abbiamo dei lavoratori che vivono alla giornata e che non possono far fronte ai loro bisogni?», ha commentato il presidente della Repubblica.

Se sul breve periodo la situazione appare drammatica, sul lungo termine la crisi sanitaria potrebbe avere un impatto enorme sull’economia del Paese. Senza contare il settore informale, il tasso di disoccupazione nazionale supera il 15 per cento. Il 2021 doveva rappresentare l’anno della ripartenza per uno dei settori chiave della Tunisia, il turismo. A oggi questa speranza si affievolisce ogni giorno che passa.

L’economia nazionale rimane invece strangolata tra la mancanza di sussidi alle fasce più povere della popolazione e il nuovo piano di aiuti in via di definizione con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.