La visita lampo di ieri in Tunisia della prima ministra Giorgia Meloni ha rilevato due aspetti. Il primo è che i rapporti tra Roma e Tunisi continuano a essere solidi, nonostante in passato il presidente della Repubblica Kais Saied abbia sollevato a più riprese diverse criticità sull’operato della sponda nord del Mediterraneo. Il secondo è che la retorica scelta da Palazzo Chigi tende a scontrarsi con la realtà che sta vivendo il piccolo Stato nordafricano.

In una conferenza stampa organizzata al palazzo presidenziale di Cartagine ma che fa fatica a chiamarsi tale per il divieto d’ingresso imposto ai giornalisti tunisini e stranieri, Meloni ha presentato i risultati dell’incontro bilaterale: «Abbiamo firmato tre intese: un accordo per il sostegno diretto al bilancio tunisino nel settore dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica, una nuova linea di credito a favore delle piccole e medie imprese tunisine e un’intesa quadro per la cooperazione nel settore dell’università e dell’alta formazione», ha dichiarato la premier annunciando un piano da 100 milioni di euro, accompagnata a Tunisi dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi e da Anna Maria Bernini, ministra dell’università e della ricerca.

Malgrado le promesse di finanziamento date da Roma, i veri obiettivi della visita sono stati altri e riguardano l’ambito migratorio, il capitolo che ha fatto da sfondo alle quattro visite di Stato svolte da Meloni in Tunisia negli ultimi dieci mesi e ulteriormente rafforzato da un nuovo aumento delle partenze avvenuto nelle ultime settimane. La premier ha posto l’accento sull’esigenza di lottare contro la rete dei trafficanti, aumentare i rimpatri e garantire vie di accesso legali in Italia. In generale, l’accento è stato posto sulla necessità di «costruire con le nazioni del continente africano una cooperazione su base paritaria».

Una propaganda di governo che si scontra, appunto, con la realtà dei fatti. A oggi l’Italia rimane un paese inaccessibile per la popolazione tunisina e straniera. Lo sa bene Ghassen Chraifa, artista tunisino che avrebbe dovuto presentare il suo film alla Biennale d’arte di Venezia. «Avrebbe» perché la domanda di visto di Chraifa risulta ancora in corso: «Vergogna ai politici che ci imprigionano dietro a delle frontiere insignificanti. Vergogna a coloro che ci impediscono di muoverci liberamente», si è sfogato l’artista su Istagram toccando una problematica che riguarda migliaia di cittadini tunisini e in particolare gli studenti universitari che vorrebbero recarsi in Italia, spesso bloccati in Tunisia a causa di procedure burocratiche dubbie.

Chraifa
Chraifa

Nelle stesse ore in cui Meloni celebrava le intese raggiunte con il presidente Kais Saied, di fronte all’ambasciata italiana di Tunisi un piccolo gruppo di manifestanti accerchiato da un folto numero di forze di sicurezza era impegnato a esprimere tutto il suo dissenso rispetto a una politica considerata impari. Rihab Fguira ha 22 anni e viene da Mahdia, cittadina nel centro della Tunisia. Studia nella capitale per diventare un giorno professoressa di arabo e quella di ieri è stata la sua prima manifestazione: «Lo faccio per mio fratello. È partito un anno fa insieme ad altri ragazzi. Il più piccolo aveva 12 anni, mio fratello invece 14. Da allora nessuno mi ha detto niente, non so se è vivo o morto e a me non resta altro che piangere tutte le notti».

C’è un ulteriore aspetto nella quotidianità tunisina che dimostra le incongruenze del governo italiano quando afferma di voler aspirare a creare rapporti di uguaglianza tra le due sponde del Mediterraneo. Negli stessi giorni in cui veniva firmato a Tunisi il Memorandum of Understanding tra Unione europea e Tunisia, alla presenza anche della premier Meloni, prendevano forma nel paese vere e proprie deportazioni di massa verso il deserto di migliaia di persone subsahariane e sudanesi. Era il luglio 2023 e da allora questa pratica è diventata strutturale e ancora oggi perdura in un silenzio generale che sta diventando di fatto assordante. Il governo italiano non si è mai espresso su queste gravi violazioni dei diritti umani, anzi. Roma ha continuato a finanziare l’apparato securitario tunisino. L’ultima fornitura risale al dicembre 2023 quando il Viminale si è impegnato a consegnare alle autorità tunisine 6 motovedette dismesse dalla Guardia di finanza e rimesse in efficienza per un totale di 4,8 milioni di euro. Le associazioni Asgi, Arci, ActionAid, Mediterranea Saving Humans, Spazi Circolari e Le Carbet hanno contestato questo finanziamento ritenendo responsabile di gravi violazioni la Guardia costiera di Tunisi, documentate attraverso testimonianze e prove, la quale attraverso alcune pratiche di intercettazione nel corso degli ultimi anni avrebbero causato la morte di decine di persone. L’udienza al Tar del Lazio è fissata il prossimo 30 aprile.