«I mesi che ho trascorso da quando ho assunto l’incarico sono stati bui e dolorosi, soprattutto quando vedo il dolore degli sfortunati e dei poveri». Con queste parole il presidente della Repubblica Kais Saied ha dato il via alla seconda fase della vita politica e istituzionale della Tunisia post rivoluzione del 2011 con un discorso televisivo rivolto alla nazione.

PAROLE dense di significato e retorica per un paese che l’anno prossimo è destinato a cambiare radicalmente. Il 25 luglio scorso, giorno della festa della Repubblica, il responsabile di Cartagine ha stravolto lo scenario di potere a Tunisi applicando l’articolo 80 della costituzione sulla scia di una violenta crisi economica e politica. Si è giustificato lunedì dicendo che «non potevo lasciare lo Stato in una situazione di pericolo imminente». Da allora il parlamento è congelato, la Tunisia viene governata attraverso decreti presidenziali, il governo ha un ruolo decisionale minimo e la costituzione è di fatto sospesa. Resterà tutto così almeno fino al 25 luglio 2022 quando il paese sarà chiamato a votare un nuovo referendum costituzionale. Prima verranno effettuate le cosiddette consultazioni popolari, sia on-line che di persona, dall’1 gennaio al 20 marzo 2022. Una sorta di dialogo nazionale «alla Saied» che sfocerà in elezioni anticipate il 17 dicembre 2022. Una data non casuale: è l’anniversario dell’immolazione di Mohamed Bouazizi che diede il via alla rivoluzione del 2011.

CHIESTO a più riprese da diversi attori della società civile, Saied ha infine dato al paese il nuovo foglio programmatico per uscire dalla crisi istituzionale (a differenza di quella economica e sociale). Fissate le date, restano dubbi sulla forma: i tunisini a oggi non sanno quanto cambierà la costituzione, il grado di presidenzialismo che ci sarà e, soprattutto, con quale legge elettorale si andrà a votare. Quello che è certo è la sospensione delle attività del parlamento, aspetto che ha già portato alle prime reazioni politiche di alcuni partiti, mai così attivi dallo scorso 25 luglio. «Kais Saied ha virato e si è ormai impegnato ad applicare il suo progetto politico al posto di combattere la corruzione», le parole di Mohamed Abbou, ex segretario generale della formazione Courant démocrate. L’attuale segretario, Ghazi Chaouachi, ha invece dichiarato che «saranno percorse tutte le forme di resistenza e militanza, tra cui la contestazione in strada».

SARÀ PROPRIO LA STRADA, più precisamente avenue Bourguiba a Tunisi, il luogo protagonista del prossimo 17 dicembre quando torneranno a manifestare coloro che non esitano a definire colpo di stato la mossa di Saied del 25 luglio. Il livello di tensione nel paese si sta alzando decisamente e quello che succederà venerdì potrebbe essere un primo spartiacque in vista delle proteste a sfondo economico e sociale previste per gennaio.
Nel lungo discorso alla nazione di quaranta minuti del presidente, c’è un altro dettaglio che ha attirato l’attenzione di esperti e osservatori. Insistendo sulla Tunisia come «paese sovrano», Saied ha di fatto aperto alla possibilità di vietare la partecipazione alle prossime elezioni ai partiti che hanno ricevuto soldi da enti stranieri. Un blocco per le due forze maggioritarie in parlamento prima del 25 luglio: Ennahda, di ispirazione islamica e protagonista assoluto della scena politica pre Saied, e Qalb Tounes del magnate Nabil Karoui, oggi in carcere in Algeria con l’accusa di frode fiscale e altri reati finanziari.

IN PARTICOLARE è Ennahda a uscire a pezzi da questi lunghi mesi. Oltre ad avere perso gran parte dell’influenza politica (e di consenso), la sede del partito guidato Rached Ghannouchi ha subito un incendio mortale giovedì 9 dicembre, causato dall’immolazione di un anziano militante, Sami Essifi. Nell’incidente lo stesso Essifi è morto, altre 18 persone sono rimaste ferite. Militante dagli anni ‘70, l’uomo avrebbe subito diversi anni di prigionia sotto gli anni di Bourguiba e Ben Ali. Una vicenda ancora da chiarire anche a livello giudiziario ma che ha riacceso i riflettori sui dimenticati della dittatura. A quanto risulta da diverse ricostruzioni, Essifi lamentava di essere stato dimenticato dal partito.