Quando alle 20.10 di martedì il procuratore Joshua Steinglass ha concluso la sua arringa finale durata 6 ore, rivolgendosi alla giuria, ha detto: «Nell’interesse della giustizia e a nome del popolo dello stato di New York, vi chiedo di dichiarare l’imputato colpevole. Grazie». Da quel momento il peso dell’unico processo penale che vede la luce prima delle elezioni di novembre è passato nelle mani dei 12 newyorchesi che compongono la giuria che deve decidere se ha ragione la difesa, e l’ex presidente e attuale candidato alla presidenza Donald Trump è innocente, o se ha ragione l’accusa e Trump è condannabile per avere infranto le leggi dello stato di New York sulla gestione dei fondi della campagna in modo da vincere le elezioni. O se il verdetto dovrà posizionarsi in un punto legale a metà.

PER ARRIVARE ad oggi i giurati sono passati attraverso 5 settimane trascorse in aula, in cui hanno ascoltato udienze e controinterrogatori, culminate con il giorno dedicato alle arringhe finali durate 12 ore, portando allo stremo anche lo stenografo del tribunale che ha iniziato a interrompere il procuratore per farsi ripetere le frasi. Non riusciva più a scrivere per la stanchezza, senza forze, come le batterie ormai scariche dei portatili dei giornalisti presenti in aula.

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La giornata dedicata alle argomentazioni conclusive ha rappresentato l’apoteosi di ciò che sono stati tutti i giorni precedenti, che cominciavano puntualmente con code infinite davanti al tribunale, formate da giornalisti e cittadini appassionati tanto da mettersi in fila dalle 4 del mattino per essere certi di entrare in aula, quattro ore dopo. Fra questi molti professori di legge e costituzionalisti arrivati da altri stati che hanno voluto studiare il processo più importante della storia americana fino ad oggi.

NEL PICCOLO PARCO a fianco alla fila per entrare in tribunale, invece, ogni mattina arriva una specie di corte dei miracoli composta dai sostenitori di Trump che diventa man mano più grande con il passare delle ore. Non si superano mai le 50 persone ma tutte estremamente pittoresche e rumorose.

Fra i primi ad arrivare ci sono sempre tre uomini, non correlati fra loro e a volte litigiosi, ma accomunati dalla fiducia verso Trump declinata in modo diverso. Uno di loro arriva preannunciato dal suono del corno in cui soffia tre volte di seguito prima di ricordare ad alta voce che The Donald rappresenta la salvezza divina e bisogna proteggerlo. È una presenza costante, lo si ritrova nella zona del tribunale per tutto il giorno, ormai nessuno degli habitué del tribunale ci fa più caso: «Ah, è arrivato quello col corno».

Un altro non pronuncia mai una parola ma non per questo è meno rumoroso, porta una croce di legno barocca con cui benedice il palazzo del tribunale quando smette di camminare in tondo suonando una grossa campana. Il terzo è vestito con un costume da ninja e invita a controllare il suo sito web dove spiega come la lobby ebraica abbia preso il controllo di questo processo.

I supporter di Trump sono circoscritti al parco, in una zona recintata e controllata dalla polizia, e al cui interno, più spesso di quanto sia auspicabile, si trova Andrew Giuliani, figlio di Rudy, pronto ad attaccare briga con tutti i singoli componenti del gruppo di supporter di Trump, e tramutare le discussioni in accese dirette per il suo canale YouTube.

CON IL PASSARE dei giorni i supporter di Trump si sono organizzati: un giorno è arrivato un furgoncino dal cui retro è uscita una nuvola di palloncini rosa a forma di pene che si è librata nel cielo mentre il gruppo scandiva USA USA. Sono arrivati Babbo Natale per Trump, un piccolo sottogruppo di “Chinese for Trump” che non parlano inglese, e giocolieri che fanno ruotare palle con la faccia di Biden.

Attorno al parco da oltre un mese si è formata una cittadella mediatica parallela, con le postazioni dei giornalisti televisivi pronti a fare le dirette, arrangiati come si può, con bidoni della spazzatura rovesciati per appoggiare specchietto, spazzole, lacca, trucchi e cambi di cravatta e sistemarsi prima di andare in onda. I giornalisti della carta stampa, invece, si accampano per terra ovunque attorno il tribunale, con i portatili sulle ginocchia o sugli zainetti per la sopravvivenza quotidiana: sciarpa, seggiolini pieghevoli, binocolo da teatro, acqua, cuscini gonfiabili per rendere più ospitali le dure panche del tribunale. Chi non riesce a entrare la mattina si rifugia nei bar della zona, trasformati in redazioni in attesa di riprovare ad entrare in aula per la sessione pomeridiana. Sarà così, fino al verdetto.