Con un Trump lunatico, che da giorni non appare più in veste ufficiale, comunicando col paese solo attraverso i tweet, ormai monotematici sulla «grande truffa» elettorale, gli Stati uniti navigano le incerte acque dell’«interregno».

IL SEGNO PIÙ TANGIBILE di una transizione comunque in atto sono gli auguri a Biden di una lista sempre più lunga di capi di stato, e le mosse del presidente in pectore che inizia a muovere le pedine di un futuro governo. Ieri è stato definito un tassello importante con la nomina a chief of staff di Ronald Klain, fedele collaboratore già di era Obama.

Prima priorità nel programma Biden sarà la pandemia ormai fuori controllo con un esponenziale secondo picco che sta mettendo in ginocchio in particolare gli stati del Midwest. Non a caso la commissione di esperti su Covid è stata la prima definita dal president elect. Contemporaneamente è avviata la giostra dei papabili ministri del prossimo governo, e con essa è anche aperta l’annunciata partita fra le anime progressiste e moderate di Democratici. L’apertura di Bernie Sanders a una eventuale nomina a ministro del lavoro ha elevato quello che si profila già come un duro scontro sulla linea politica del partito.

LA TENSIONE FRA CENTRISTI e ala sinistra è esacerbata dal mancato plebiscito in un elezione che ha fallito la riconquista del senato e che alla camera è addirittura costata seggi democratici. Le frizioni erano affiorate immediatamente dopo il voto con la recriminazione di John Kasich, ex governatore repubblicano e anti trumpista dellOhio che aveva imputato ai progressisti di non aver potuto portare il proprio stato nella colonna di Biden. Oggetto delle sue critiche come quelle di vari altri esponenti, sono progressisti e sanderiani che fanno capo a Alexandria Ocasio – Cortez. La parlamentare socialista del Bronx è stata accusata da Jay Jacobs segretario del partito democratico di New York, di aver contribuito alle perdite democratiche nel suo stato.

Troppo facile per lei essere di sinistra, ha detto Jacobs, nel suo distretto non trovi un repubblicano nemmeno col cannocchiale. Ma nei sobborghi dove i democratici contendono voti a Trump «alla gente non gliene frega niente di Black Lives Matter». L’idea che le politiche progressiste «spaventino» gli elettori è respinta dai progressisti come Ocasio-Cortez, Rasheeda Tlaib, Ilhan Omar e Ayanna Pessley che sottolineano come tutti i candidati favorevoli al Green New Deal ad esempio, abbiano vinto le loro gare.

ALLA «SQUAD» si è aggiunta la scorsa settimana la militante di Black Lives Metter Cori Bush, divenuta la prima donna afroamericana del Missouri eletta al Congresso, senza contare il successo di una altra donna nera e progressista come Stacey Abrams nel «conquistare» la Georgia.

La sinistra, rappresentata da raggruppamenti come Justice Democrats e il Sunrise Movement sull’ambiente, hanno sostenuto compattamente Biden nella campagna presidenziale anche quando ha preso posizioni strategicamente «centriste» (come il sostegno al fracking) – ora però chiede di essere sentita al momento delle nomine. Oltre a Sanders, nella lista dei dicasteri auspicati dai progressisti figurano Elizabeth Warren come possibile ministro del tesoro, Keith Ellison a ministro della giustizia e la nativa americana Debra Haaland al ministero dell’interno.

DIETRO LA LOTTA sulle nomine si gioca una partita più fondamentale sulla futura linea strategica e ideologica. Biden ha costruito la propria reputazione politica come mediatore moderato, capace di dialogare coi colleghi repubblicani al senato. Intanto il Gop ha da tempo abbandonato ogni pretesa di compromesso, radicalizzando la propria base ideologica e attuando politiche di terra bruciata. La sinistra chiede ora di porre senza riserva al centro del programma del prossimo governo politiche anti razziste e di radicale riforma economica senza cadere nella trappola «bipartisan» tesa da un opposizione repubblicana che ha il solo obbiettivo di paralizzare l’agenda democratica fino alle midterm parlamentari del 2022.