Dopo avere applicato dazi su elettrodomestici e pannelli solari provenienti principalmente dall’Asia, Trump ha annunciato di voler adottare dazi su acciaio ed alluminio (colpendo così anche la Ue) e paventando anche limiti all’importazione delle automobili prodotte in Europa, nonostante nel discorso fatto a Davos solo un mese fa, così come nel messaggio sullo stato dell’Unione di fine gennaio, avesse annunciato restrizioni, seppure negoziae.

QUESTO RIPENSAMENTO ha creato un terremoto in quanto la negoziazione non c’è stata neanche con il suo partito o con il consigliere economico, Gary Cohn, che adesso potrebbe anche dimettersi perché la guerra economica creata dai dazi impoverirebbe tutti, inclusi gli Usa. Trump sostiene che la ragione dietro alla scelta dei dazi sia quella di difendere la Rust Belt, la regione compresa dai Grandi Laghi fino al Midwest degli Stati uniti, così chiamata per via del declino economico, lo spopolamento e il decadimento urbano dell’area, dovuti alla contrazione del settore industriale, un tempo molto attivo. Quella zona è stata un formidabile bacino di voti per Trump, ma una guerra commerciale le darebbe il colpo finale.

LA COMMISSIONE EUROPEA ha già risposto a Trump dicendo che potrebbe imporre a sua volta dei dazi su prodotti americani popolari come jeans, liquori e motociclette, Trump ha quindi rilanciato paventando il dazio sulle automobili europee che vengono esportate negli Stati uniti; solo che queste fabbriche si troverebbero proprio nella Rust Belt, per cui a perdere il lavoro sarebbero molti elettori di Trump.

ANCORA UNA VOLTA, come per l’Obamacare, a fare le spese in prima persona delle politiche del presidente sarebbe proprio il suo elettorato, quella classe media impoverita che non uscirà da questa situazione senza un piano complessivo di rinnovamento americano che di certo non passa dall’applicazione unilaterale di dazi.

Stando al Washington Post la decisione di Trump è stata presa per via dell’isolamento del presidente e sull’onda della rabbia che gli scatena vedere i titoli dei notiziari via cavo che scandiscono gli scandali della sua presidenza, l’ultimo dei quali coinvolge il genero Jared Kushner. Il pluridecorato generale dell’esercito in pensione Barry McCaffrey, ha detto al quotidiano di Washington che il popolo americano e soprattutto il Congresso dovrebbe allarmarsi.

«PENSO CHE IL PRESIDENTE stia cominciando a vacillare nella sua stabilità emotiva e questo non finirà bene – ha detto McCaffrey – Il giudizio di Trump è fondamentalmente fallace e più è sotto pressione più viene isolato, penso, la sua capacità di far male aumenterà». La maggior parte dei collaboratori di Trump non è più alla Casa bianca; primo fra tutti, non c’è più Steve Bannon, che si è dimesso mesi fa per poi rilasciare dichiarazioni al vetriolo sul suo ex posto di lavoro. Al momento Bannon, diretto verso un incontro pubblico Zurigo per parlare delle «implicazioni globali della rivolta populista», si è fermato a Roma per osservare le elezioni italiane.

«Passerò molto tempo in Europa, qui c’è l’avanguardia del populismo – ha detto usando il termine in un’accezione per lui positiva – Voglio costruire una rete dal basso, un esercito per diffondere le idee del nazionalismo economico, ho lavorato 10 anni per costruire un movimento populista nazionalista in America, sono entrato nella campagna di Trump quando rimanevano solo 85 giorni, stavano perdendo ma sapevo che avrebbe vinto. Vedevo la risonanza tra la gente, mentre alle élite questo sfuggiva, e penso che lo stesso stia succedendo in Italia. Gli italiani si considerano spesso provinciali nella politica mondiale, ma non è così: siete sulla cresta dell’onda».