Trump alla guerra dell’acqua
Pandemia Scontro tra Etiopia ed Egitto, crisi sanitaria ed economica per il coronavirus, invasione delle locuste e la rivalità tra Stati uniti e Cina in Africa orientale, con il tycoon che si propone come improbabile mediatore tra il Cairo e Addis Abeba mentre minaccia tagli all’Oms e accusa il suo capo di essere troppo dalla parte di Pechino
Pandemia Scontro tra Etiopia ed Egitto, crisi sanitaria ed economica per il coronavirus, invasione delle locuste e la rivalità tra Stati uniti e Cina in Africa orientale, con il tycoon che si propone come improbabile mediatore tra il Cairo e Addis Abeba mentre minaccia tagli all’Oms e accusa il suo capo di essere troppo dalla parte di Pechino
In Africa è iniziata una nuova geopolitica della pandemia. Guerra dell’acqua tra Etiopia ed Egitto, crisi sanitaria ed economica per l’epidemia di coronavirus, invasione delle locuste e nel mezzo la rivalità tra Stati uniti e Cina in Africa orientale, con Trump che si propone come improbabile mediatore tra il Cairo e Addis Abeba mentre minaccia tagli all’Oms e accusa il suo capo, Tedros Ghebreyesus, ex ministro etiope della sanità e degli esteri, di essere troppo dalla parte di Pechino.
Addis Abeba ha così schierato l’esercito intorno alla “Grande diga della rinascita etiope” (Gerd), controverso progetto sul Nilo che coinvolge Sudan, Etiopia ed Egitto e sta provocando tensioni sempre più forti con il generale-presidente Al Sisi, il beniamino di Trump.
Il Cairo teme che la diga sul Nilo Azzurro, al confine fra Etiopia e Sudan, limiterà le forniture di acqua dai cui dipendente mentre Addis Abeba afferma che il progetto, realizzato dall’italiana Salini-Impregilo e dai cinesi, è cruciale per il suo sviluppo: l’Etiopia può diventare il maggiore esportatore africano di energia elettrica.
La Diga del Rinascimento sarà la più grande del continente. I cinesi, che hanno investito due miliardi di dollari in turbine e generatori, ritengono questo progetto fondamentale.
Durante l’era maoista la presenza cinese in Etiopia era fondata sulla necessità di ottenere la solidarietà africana contro Taiwan e l’Occidente. Oggi la Cina è interessata all’Etiopia sulla base di un calcolo politico: Addis Abeba offre a Pechino un contesto in cui poter esercitare la propria influenza presso l’Unione africana, la Commissione economica per l’Africa dell’Onu e altre istituzioni come l’Oms.
Inoltre Pechino ha aperto la sua base militare a Gibuti – altro cliente cinese – e l’ha collegata con una ferrovia ad Addis Abeba. Ma esistono anche ragioni economiche: l’Etiopia è il secondo stato più popoloso dell’Africa (112 milioni) e rappresenta un importante mercato per le merci cinesi.
Non è un caso che Pechino abbia fatto di Addis Abeba il punto di arrivo e distribuzione anche verso altri Paesi africani degli aiuti per combattere il virus. E che il premier etiope Abiy Ahmed, Nobel per la Pace 2019, sia in costante contatto con Xi Jinping ma anche con Putin. L’attacco all’etiope Tedros, capo dell’Oms, non l’ha preso certo molto bene, e come lui l’Unione africana che ha reagito con veemenza contro Trump.
Se è vero che Tedros ha dichiarato in ritardo l’emergenza globale il 30 gennaio – con il forte sospetto che il viaggio a Pechino del 28 gennaio da Xi Jinping, fosse più di carattere politico che incentrato sulla salute pubblica – Trump, che ha in dispregio ogni organizzazione multilaterale, aveva già minacciato di tagliare fondi all’Oms, indebolendo ancora di più il fronte anti-epidemie.
Ora gli americani pagano duramente le sue sottovalutazioni e i suoi pregiudizi. Tra questi l’errore peggiore è stato il taglio degli investimenti sulla ricerca dei virus. Nell’ultimo decennio era stato sostenuto il programma Predict, finanziato da Usaid, l’agenzia americana per la cooperazione internazionale. Grazie a Predict erano stati identificati, anche in Africa, 900 nuovi virus da animali compresi 160 nuovi ceppi di coronavirus. Ma Trump nell’ottobre 2019 ha deciso di chiudere Predict ritenuto troppo favorevole alle istanze ambientali ed ecologiste.
Guerra dell’acqua, pandemia e diplomazia adesso si intrecciano in Africa orientale. Sulla Grande Diga Trump è sceso in campo a fianco dell’Egitto ma la mediazione di Washington è fallita. La disputa rientra nella storica contesa sullo sfruttamento delle acque del Nilo. Il Cairo giustifica le sue pretese sulla base nei trattati codificati dalle autorità coloniali britanniche a favore di Egitto e Sudan (l’allora Sudan anglo-egiziano) nel 1902 e 1929.
Nel 1959 i due Paesi, divenuti indipendenti, stipularono un accordo sul razionamento degli 84 miliardi cubi di acqua annui d’acqua del fiume, assegnandone 55,5 a favore del Cairo che con l’accordo tra Nasser e l’Urss poi terminò la diga di Assuan (1970).
L’Etiopia, parte non contraente di questi trattati, iniziò a valutare la possibilità di costruire una diga sul Nilo ma venne frenata negli anni dalla guerra civile, con il rovesciamento dell’imperatore Haile Selassie da parte del governo militare del Derg di Menghistu, e dal conflitto dell’Ogaden con la Somalia. Il progetto fu così avviato da Meles Zenawi nel 2010.
Il 26 febbraio scorso Washington e il Cairo hanno stilato un accordo, rifiutato dall’Etiopia, sul riempimento del bacino della diga e sulla quantità d’acqua che dovrebbe trattenere. Il negoziato si è bloccato, la tensione è salita e Trump non ha perso l’occasione per ripetere che Al Sisi è il suo dittatore preferito, aggiungendo che era lui «il meritevole del premio Nobel per la pace», non il premier etiope. Ecco in che mani è la superpotenza mondiale.
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