Ci sono tre nuove sentenze del tribunale di Firenze che vanno a toccare il perno della strategia governativa di contrasto dei flussi migratori nel Mediterraneo: la Tunisia di Kais Saied. Secondo i giudici toscani quel paese non può più essere considerato «sicuro». La data in calce ai documenti è il 25 ottobre 2023, la firma quella del presidente del collegio Luca Minniti. Come per l’analoga decisione del 20 settembre scorso che, insieme alle non convalide del trattenimento dei richiedenti asilo da parte del tribunale di Catania, aveva mandato su tutte le furie l’esecutivo Meloni.

PROPRIO A QUEL provvedimento si sono appellati tre cittadini tunisini che hanno impugnato quanto deciso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze. In due casi la richiesta di asilo era stata giudicata «inammissibile», in uno «manifestamente infondata». Per tutti la stessa ragione: la Tunisia è nella lista dei paesi considerati sicuri dal governo italiano.

IL TRIBUNALE però, riaffermando lo stesso ragionamento giuridico della prima sentenza, ritiene che quella valutazione non sia più valida. Perché l’ultimo aggiornamento risale al 28 ottobre 2022 e da allora sono cambiate molte cose, proprio sui punti salienti della scheda relativa al paese di Saied. In particolare è rilevata una forte limitazione dell’indipendenza della magistratura attraverso destituzioni e arresti di massa, un crollo della partecipazione alle elezioni politiche di dicembre 2022 (fino al 9% dell’elettorato) e dei livelli di trasparenza delle stesse, il deterioramento delle condizioni di vita di migranti e rifugiati documentato da Unhcr e Consiglio d’Europa.

«AD OGGI gli elementi che hanno portato l’Amministrazione a ritenere che la crisi del sistema democratico tunisino non fosse talmente grave da determinare la sua esclusione dalla lista paesi sicuri, devono esser riconsiderati alla luce di alcuni recentissimi e gravi sviluppi che hanno riguardato proprio alcuni degli elementi valorizzati dall’amministrazione in sede istruttoria», si legge nella decisione dei giudici.

DEL RESTO LA REVISIONE periodica della lista dei paesi sicuri è un obbligo previsto dalla cosiddetta «direttiva procedura» dell’Ue. «Quando gli Stati membri vengono a conoscenza di un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un paese designato da essi come sicuro, dovrebbero provvedere affinché sia svolto quanto prima un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale paese come sicuro», recita il considerando 48.

LA PREMESSA a tutto il ragionamento è il potere/dovere dei giudici di valutare la classificazione. Un punto delicato perché nelle scorse settimane il governo ha sostenuto che non spetti ai magistrati immischiarsi nei rapporti internazionali con altri Stati e la decisione sia soltanto politica. Il 13 ottobre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano aveva dichiarato che le corti non possono sostituirsi «a organi nazionali o sovranazionali nel qualificare le relazioni tra gli Stati». In generale secondo Mantovano, che è politico e magistrato, il giudice è chiamato ad applicare la norma a meno che non dubiti motivatamente della sua coerenza con la Costituzione, in quel caso «la strada obbligata non è la disapplicazione ma la questione di legittimità».

IL TRIBUNALE DI FIRENZE, invece, sostiene che la sindacabilità dei giudici sulla lista dei paesi sicuri è fondata nel fatto che la presenza di uno Stato in quell’elenco incide sui diritti fondamentali dei relativi cittadini giunti in Italia. Il diritto alla sicurezza, alla libertà personale o persino alla vita. A livello comunitario il caso italiano non è un unicum perché in Francia il Conseil d’État ha esercitato lo stesso sindacato. Del resto, si legge in una delle sentenze, dal momento che il regolamento sui paesi sicuri si colloca «nella gerarchia delle fonti su un piano secondario rispetto alle fonti primarie, è chiaro che non può porsi in contrasto né con la Costituzione né con il diritto dell’Ue né con le leggi ordinarie. Spetta quindi al giudice verificare e risolvere direttamente eventuali antinomie tra la fonte primaria e la fonte secondaria essendo il sindacato di costituzionalità previsto solo per le leggi e gli atti aventi forza di legge».

LE TRE DECISIONI non hanno a che vedere direttamente con il merito della richiesta d’asilo, ma sospendono i rigetti delle commissioni territoriali e implicano che l’iter sia svolto in forma ordinaria e non accelerata. Se i tre cittadini tunisini hanno o meno diritto alla protezione internazionale, dunque, sarà stabilito successivamente.

AL DI LÀ DELLE VICENDE individuali, però, le sentenze sollevano una questione politica. Su cui si è espresso il segretario e deputato di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: «Il manifesto ha rivelato [con la prima versione di questo articolo pubblicata martedì mattina, ndr] tre nuove sentenze che smontano giuridicamente la costruzione ideologica fatta in questi mesi dal governo: la Tunisia di Saied non può essere considerata un paese sicuro per accogliere in modo civile migranti e naufraghi. Meloni non può non tenerne conto».