Trenta paesi sfruttano le risorse delle terre saharawi occupate. Anche l’Italia
Africa Il rapporto: decine di aziende operano nel Sahara occidentale, in violazione del diritto internazionale. I settori principe restano la pesca e quello minerario: la costa è tra le più pescose al mondo, l'entroterra è ricchissimo di fosfati
Africa Il rapporto: decine di aziende operano nel Sahara occidentale, in violazione del diritto internazionale. I settori principe restano la pesca e quello minerario: la costa è tra le più pescose al mondo, l'entroterra è ricchissimo di fosfati
«Sono almeno trenta i paesi che stanno investendo illegalmente nei territori occupati del Sahara occidentale in numerosi settori economici che, per il diritto internazionale, rappresentano un atto illegittimo», indica il rapporto annuale del Centro di Studi e Documentazione franco-saharawi, Ahmed Baba Miskè.
Spagna e Francia, principali partner economici del Marocco e della sua politica di sfruttamento delle risorse nei territori saharawi occupati, sono i paesi che investono maggiormente nel Sahara occidentale con 28 aziende spagnole e 16 francesi.
Oltre il 70% delle aziende provengono da paesi della comunità europea come la Germania con 15 società, la Svezia e la Grecia con sei, l’Italia con cinque (tra cui l’Enel e Italcementi) e Norvegia con quattro, ma sono presenti anche aziende di paesi lontani come gli Stati uniti, il Canada, la Cina, la Nuova Zelanda, il Bangladesh e Singapore.
I PRINCIPALI SETTORI sono il trasporto marittimo e la pesca, visto che i 1.400 km di coste del Sahara occidentale sono considerate «una delle aree marittime più pescose al mondo con oltre due milioni di tonnellate di pesce all’anno», con interessi economici e accordi di pesca che sono stati rinnovati nel 2018 tra l’Ue e il Marocco, nonostante le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea e in particolare quella del 27 febbraio 2018, che ha affermato lo «status separato e distinto del Sahara occidentale come territorio occupato, internazionalmente riconosciuto dall’Onu».
Gli altri settori economici interessati sono quello minerario, principalmente nell’estrazione di fosfati – con uno dei trasportatori a nastro più lunghi al mondo con i suoi 100 chilometri dai depositi di Bou Craa fino al porto di esportazione nella città di El Ayoun –, ma anche i settori delle energie convenzionali (gas e petrolio) e rinnovabili o nell’edilizia.
Il rapporto indica, inoltre, che quasi quaranta società straniere hanno recentemente lasciato il Sahara occidentale per conformarsi al diritto internazionale: la costituzione di ditte straniere nei territori occupati «costituisce flagranti violazioni e crimini di colonizzazione poiché (le compagnie) non hanno ottenuto il consenso del popolo saharawi e del suo unico e legittimo rappresentante, riconosciuto dall’Onu, il Fronte Polisario».
Dopo il ritiro della Spagna (1975) come paese colonizzatore, il Sahara occidentale è stato classificato dall’Onu come «territorio non autonomo e senza amministrazione ancora in attesa del completamento della decolonizzazione», come confermato successivamente dal consulente legale delle Nazioni unite, Hans Correl, nel suo parere del 2002.
DECISIONI E PARERI legali conformi a quelli dell’Unione africana, pubblicati nel 2015, che chiariscono lo status giuridico della Repubblica araba democratica saharawi (Rasd), membro a pieno titolo dell’Ua, e del Marocco. Il documento ufficiale ricorda che «la presenza marocchina è un occupazione militare illegale e che tutte le attività economiche, siano esse svolte dal Regno del Marocco o da terzi, violano il diritto internazionale, in conformità alla Carta africana dei diritti dell’uomo che indica che ogni popolo ha un diritto assoluto all’autodeterminazione».
Infine va notato che, dopo la violazione del cessate il fuoco da parte del Marocco il 13 novembre 2020 e la ripresa della guerra, la Rasd ha dichiarato l’intero territorio del Sahara occidentale «una zona di guerra (sia a terra, nel mare, come nell’aria), che dovrebbe incoraggiare più aziende a riconsiderare le loro attività illegali nell’area».
«CI SEMBRA GRAVE e inammissibile che dopo quasi sessanta giorni di guerra, in un conflitto dimenticato nel quale il Marocco sta subendo perdite e ha imposto un black-out di informazioni al mondo – ha recentemente ricordato Sidi Omar, rappresentante del Fronte Polisario al Palazzo di Vetro – il Consiglio di Sicurezza non sia minimamente intervenuto o non abbia individuato un suo nuovo emissario per arrivare a quanto stabilito dalla missione Minurso (1991), vale a dire l’autodeterminazione del popolo saharawi».
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