Il primo ministro ungherese Viktor Orbán si è recato per la prima volta in Ucraina dall’inizio della guerra. La visita coincide con l’inizio del semestre di presidenza di turno dell’Ue per l’Ungheria e giunge al culmine di un periodo di grandi tensioni tra Budapest e Kiev. I vertici ungheresi, infatti, si sono ripetutamente opposti all’adesione dell’Ucraina alla Nato e all’Ue, alle sanzioni contro la Russia e alle forniture militari all’esercito ucraino. Orbán, inoltre, non ha mai nascosto la propria posizione sul conflitto in est Europa che è del tutto opposta a quella ucraina in quanto chiede che il Paese invaso tratti con Mosca a partire dalla situazione sul campo e ceda «qualcosa» (ovvero i territori già occupati) a Putin.

TUTTAVIA, secondo anonime fonti politiche ungheresi sentite dal Guardian alla vigilia della visita, l’incontro tra i due leader è stato possibile grazie a un accordo di massima sui diritti della minoranza etnica ungherese che vive in Ucraina. «La condizione per l’incontro era che la questione dei diritti di cittadinanza fosse risolta» ha dichiarato la fonte, che ha aggiunto, «nelle ultime settimane è stato raggiunto un accordo». Negli ultimi anni, già prima dell’invasione russa, Budapest ha ripetutamente accusato Kiev di discriminare la minoranza etnica magiara concentrata nell’Ucraina sud-occidentale che per la retorica nazionalista di Fidesz (il partito del premier) è parte di quel progetto propagandistico di protezione delle minoranze ungheresi in Polonia, in Romania e, appunto in terra ucraina. Orbán si è spinto fino a riconoscere il passaporto ai discendenti ungheresi oltrefrontiera e, guarda caso, in quelle aree i collegi elettorali hanno sempre fatto registrare percentuali di preferenze per Fidesz altissime. Nelle fantasticherie imperialiste dei nostalgici della «Grande Ungheria», inoltre, la sconfitta dell’Ucraina coincide spesso con un’annessione dei territori di confine sui quali vivono queste minoranze magiarofone.

DAL CANTO SUO Kiev ha sempre negato, ma ora che Zelensky ha bisogno del massimo supporto possibile da parte degli alleati occidentali e, soprattutto, del cappello della Ue con la quale il suo Paese ha iniziato i negoziati per l’adesione, il supporto di Orbán è diventato molto importante.

NON FONDAMENTALE, perché come abbiamo visto negli ultimi mesi alla fine sia i membri della Nato sia quelli dell’Ue sono sempre riusciti ad approvare le misure di supporto a Kiev anche senza il voto favorevole dell’Ungheria. La quale in più occasione ha lasciato intendere di volere qualcosa in cambio per la fine dell’ostruzionismo. Non si tratta solo di una questione geopolitica, dunque, ovvero della vicinanza di Budapest al Cremlino, dal quale dipende in parte per le forniture energetiche. Ma di ottenere qualcosa dai 27 senza rinunciare alle misure che l’Ue gli contesta ormai da anni – e per le quali ha bloccato i fondi – come le leggi omofobe, la censura dei media, il sistema giudiziario poco trasparente e le politiche migratorie.

«Il contenuto dei nostri colloqui di oggi» ha dichiarato Zelensky dopo l’incontro a porte chiuse, «può diventare la base per un futuro accordo bilaterale tra i nostri stati, che regolerà le nostre relazioni». Orbán ha esortato il leader ucraino a prendere in considerazione un cessate il fuoco preventivo per «accelerare i colloqui di pace». Per la prima volta il premier ungherese ha lodato le iniziative di pace di Kiev, forse più per convenienza diplomatica che per reale convinzione, ma ha ribadito che richiedono «troppo tempo». Ciononostante ha auspicato la firma di accordi di collaborazione bilaterale tra i due stati. Zelensky ha insistito che qualsiasi pace deve essere «giusta», che l’Europa «non deve tirarsi indietro» e che Orbán deve unirsi «agli sforzi compiuti» per la pace auspicata da Kiev.

SINGOLARE che in questa giornata di distensione magiaro-ucraina il ministro degli Esteri di Budapest, Peter Szijjarto, abbia avuto un colloquio telefonico con il suo omologo russo Lavrov. «Durante la discussione sulla crisi ucraina, entrambi i ministri hanno sottolineato la necessità che Kiev assicuri incondizionatamente i diritti delle minoranze nazionali che vivono nel Paese» ha capziosamente sottolineato il capo della diplomazia del Cremlino.