Se Anderson Torres, accusato di coinvolgimento negli atti golpisti dell’8 gennaio, non si fosse presentato entro lunedì alla polizia federale – aveva avvisato il ministro della Giustizia Flávio Dino -, per lui sarebbe scattata la richiesta di estradizione. Ma non ce n’è stato bisogno. Già nella notte di venerdì l’ex ministro della Giustizia di Bolsonaro ed ex segretario di Sicurezza pubblica del Distretto Federale, accompagnato da membri della polizia statunitense all’aeroporto di Miami, si era imbarcato su un volo per Brasilia. E ieri mattina, appena atterrato all’aeroporto Juscelino Kubitschek, è stato arrestato e condotto dalla polizia federale al comando del Bavop (Batalhão de Aviação Operacional) per la sua prima deposizione.

Anderson Torres (Ap)

TORRES È ACCUSATO DI CRIMINI pesantissimi, terrorismo, colpo di stato, associazione a delinquere che se confermati potrebbero costargli una condanna fino a 91 anni di prigione. E certo il ritrovamento in un armadio di casa sua di un piano per ribaltare il risultato delle elezioni di ottobre non è servito ad alleggerire la sua posizione.
A Orlando, dove si trova ancora in «ferie» (come ha voluto chiamare la sua fuga), Bolsonaro deve aver sicuramente tremato, consapevole di poter presto andare incontro allo stesso destino. E in effetti un nuovo minaccioso campanello d’allarme è risuonato per lui venerdì, quando il ministro della Corte Suprema Alexandre de Moraes ha inserito il suo nome, con l’accusa di istigazione a delinquere, nelle indagini sull’invasione della piazza dei Tre Poteri.

LA PREOCCUPAZIONE È TALE che il Partido Liberal (Pl) ha deciso di rafforzare la squadra di avvocati dell’ex presidente, sul cui capo pendono, tra l’altro, le inchieste sulla divulgazione di notizie false sul vaccino anti-Covid, sulle fake news e sulle interferenze nella polizia federale. Il timore ora più grande è che la giustizia elettorale lo privi dei suoi diritti politici, impedendogli di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2026 – a cui Bolsonaro già guarda in cerca di rivincita – e, prima di allora, ostacolando l’avanzata del Pl alle elezioni municipali del prossimo anno.

E NON POCHE PREOCCUPAZIONI suscita anche l’arresto del suo ex ministro Torres, il quale, soprattutto di fronte alla compromettente bozza di decreto recuperata nella sua casa, potrebbe convincersi a firmare un accordo di delação premiada, come viene chiamata qui la collaborazione con i magistrati in cambio di uno sconto di pena di cui la Lava Jato aveva fatto uso e abuso in funzione anti-Pt.

MA SONO IN TANTI, in questi giorni, a non dormire sonni tranquilli, a cominciare dai finanziatori degli atti terroristici finora identificati – 52 persone fisiche e sette imprese – contro cui il giudice federale di Brasilia Francisco Alexandre Ribeiro ha disposto il blocco dei beni per un valore di 6,5 milioni di reais, da usare per rimediare agli enormi danni materiali provocati dall’assalto golpista.

Tutt’altro che serena è anche l’emittente radiofonica Jovem Pan, che, raggiunta da un’indagine del Pubblico ministero federale di São Paulo relativamente alla divulgazione di fake news, ha cancellato da un giorno all’altro dal suo canale YouTube ben 1.516 video.

INFINE I MILITARI. Se il ministro della difesa José Múcio e i vertici delle forze armate hanno garantito una punizione dura e rapida per i militari coinvolti negli atti golpisti, i risultati non sono ancora un granché.
Il colonnello della riserva Adriano de Souza Azevedo, considerato il braccio destro, all’interno del Gsi (Gabinete de Segurança Institucional), del generale estremista Augusto Heleno (già allontanato prima dell’insediamento di Lula), è stato – è vero – rimosso dal suo incarico.

Ma l’attuale capo del Gsi Gonçalves Dias non sembra affatto deciso a fare pulizia tra dipendenti e militari vicini a Heleno, schierandosi anche contro la possibile smilitarizzazione dei servizi segreti, tramite lo scorporamento dell’Abin, l’agenzia di intelligence brasiliana, dal Gsi.