Non dovrebbero riservare grandi sorprese le elezioni presidenziali in Cile di domenica prossima. Secondo tutti i sondaggi, a succedere a Michelle Bachelet sarà nuovamente il miliardario conservatore Sebastián Piñera, noto come il «Berlusconi cileno», candidato di Chile Vamos ed esponente di punta dell’oligarchia imprenditoriale e finanziaria.

È probabile tuttavia che, per riprendersi la presidenza, dovrà attendere il ballottaggio del 17 dicembre, quando, sempre stando ai sondaggi, dovrebbe scontrarsi con il principale candidato di centro-sinistra, Alejandro Guillier, a capo della cosiddetta Fuerza de Mayoría, erede della Nueva Mayoría della presidente Bachelet, con cui condivide la stessa strategia basata su semplici ritocchi al modello di Paese ereditato da Pinochet.
Tanto la coalizione di centro-destra quanto quella di centro-sinistra hanno comunque perso pezzi: dalla prima si è allontanato José Antonio Kast, candidato indipendente di estrema destra, pinochetista e fascista; dalla seconda si è separata (ma solo al primo turno) la Democrazia cristiana, la quale si presenterà con una propria candidata, Carolina Goic.

Ma la vera novità è rappresentata dal Frente Amplio, una nuova coalizione di partiti e movimenti guidata dalla giornalista Beatriz Sánchez, di orientamento antineoliberista ma, pur collocata all’interno del frammentato universo della sinistra, non priva di una certa ambiguità politica: grandi polemiche, non a caso, hanno suscitato le sue infelici dichiarazioni – poi ritrattate – sul governo di Salvador Allende, definito come totalitario. Il suo programma, tuttavia, prevede il ricorso a un’Assemblea Costituente per ridefinire il patto politico e sociale cileno e la conformazione di uno Stato plurinazionale che riconosca il diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni.

E un buon segnale, in una prospettiva futura di riunificazione della sinistra cilena, viene dall’intenzione degli altri due candidati di sinistra, Eduardo Artés e Alejandro Navarro, di schierarsi con Beatriz Sánchez se questa dovesse riuscire nell’impresa – quanto mai improbabile, in realtà – di andare al ballottaggio.

Ma quanto basso sia stato il profilo della campagna elettorale è emerso anche dall’ultimo dibattito televisivo del 6 novembre tra i candidati alla presidenza, nessuno dei quali ha espresso concezioni alternative rispetto all’attuale modello economico-sociale o semplicemente menzionato temi come la gratuità dell’istruzione, la rinazionalizzazione del rame, la disuguaglianza sociale o la difesa dei diritti umani.