La lettera è stata vergata subito dopo che erano stati resi noti i risultati delle due elezioni suppletive, entrambe e malamente perdute dai conservatori. Reca la notifica a Boris Johnson delle dimissioni del presidente del partito, Oliver Dowden.

Gelida, procedurale e volutamente asciutta, la missiva consta di una lista di doglianze del tipo: «Non possiamo più continuare con il business as usual» e «Qualcuno deve assumersi la responsabilità (dei risultati) e ho concluso che, in queste circostanze, non è giusto che io rimanga in carica». A Dowden subentra alla presidenza – interinale – Ben Elliot. Esultano liberaldemocratici e laburisti, che cominciano quasi a credere a un cambio delle maree nella politica del paese dopo quest’interminabile, efferato dodicennio a guida Tory. A tale scopo, gioverà anche forse ricordare che i seggi erano stati abbandonati dai rispettivi deputati, ambedue travolti da poco edificanti questioni di molestie sessuali et similia.

Nel West Yorkshire deindustrializzato e arrancante, i laburisti hanno riconquistato Wakefield – città mineraria, parte del cosiddetto ex-Red Wall – dove Simon Lightwood ha battuto il suo rivale, il conservatore Nadeem Ahmed, con uno spostamento del 12,7% dei voti da Tory a Labour in un seggio che torna ai laburisti dopo essersi appaltato – nel 2019, per la prima volta in decenni – ai Tories.

I quali hanno preso una batosta ancor più sonora a Tiverton e Honiton, nel Devon, Inghilterra sudoccidentale. Colà, un seggio blue dal 1923, il liberaldemocratico Richard Foord ha ribaltato una maggioranza conservatrice di circa 25mila voti, con uno swing (il passaggio di voti da un partito all’altro nel sistema maggioritario britannico) del 30%. La vittoria segna il più grande ribaltamento di una maggioranza dei conservatori mai fatto registrare da un’elezione suppletiva.

Ed è il vero risultato luttuoso per il partito di governo: significa che il pastorale e abbiente Sud potrebbe cominciare a cadere nelle mani dei Libdem dello sbiadito Ed Davey, segno a sua volta che le nefandezze dei libdem in coalizione coi (meglio, a traino dei) Tories di David Cameron cominciano anch’esse a sbiadire. Il calo medio del voto Tory nelle ultime cinque elezioni suppletive è di 20 punti percentuali: l’ultimo primo ministro a dover rendere conto di un simile disastro è stato quel brav’uomo di John Major.

Keir Starmer cerca di approfittarne, anche se sa benissimo di non esser lui il motivo dell’exploit del suo partito: è tutto demerito di Johnson. Malta e cazzuola alla mano, a colpi di scandali e panzane, è lo stesso premier che sta restaurando il vecchio Red Wall. Ed è chiaro che in entrambi i collegi c’è stato voto tattico tra i sostenitori di entrambi i partiti di opposizione, preludio – forse – di un elettrizzante patto elettorale lib-lab alle prossime politiche, nel 2024.

Quanto a Johnson, la benedetta misura è forse colma? Le prossime settimane diranno se il punto interrogativo può cadere. Il suo destino dipende ora dal governo, nel quale un’ondata di dimissioni potrebbe obbligarlo a farsi da parte prima delle prossime elezioni nazionali, previste nel 2024. Secondo le regole attuali è al sicuro da un altro voto di sfiducia per un anno, ma i parlamentari nel panico potrebbero cercare di riformare il meccanismo elettivo del leader per ottenere una seconda tornata. Nel frattempo, egli è beatamente in Ruanda, a oltre seimila miglia di distanza, che finalizza i termini dell’abominevole accordo per sbolognare un tanto al chilo al paese africano i richiedenti asilo che sbarcano in Uk.