«Ne vorrei sempre di più». Così aveva detto la presidente della giuria della Berlinale di quest’anno, l’attrice messicana Lupita Nyong’o, a proposito dei film africani presenti al festival. Nyong’o è anche la prima persona di origini africane (nel suo caso, keniote) a ricoprire il ruolo, in 74 anni di festival. Un traguardo storico che ha trovato un riflesso nei numerosi lavori provenienti dal continente, disseminati in tutte le sezioni, con i nuovi film di Abderrahmane Sissako e Mati Diop a fare da «capofila» nel concorso internazionale.

TRA GLI ALTRI lavori ha colpito Tongo Saa, titolo internazionale Rising Up at Night, l’esordio nel lungometraggio del regista congolese Nelson Makengo, presentato nella sezione Panorama. Girato a Kinshasa, dove Makengo è nato e dove tutt’ora vive, il documentario mostra uno spaccato della vita in città e in particolare del quartiere Kisenso. Il primo problema con cui gli abitanti convivono è la mancanza di elettricità. Una situazione che ha dell’incredibile per una capitale da 17 milioni di persone, e che non fa che sottolineare le disuguaglianze ancora così forti rispetto ai diritti fondamentali tra Nord e Sud del mondo.

Ciò che colpisce, attraverso le inquadrature di Makengo (che cura anche la sceneggiatura e le fotografia) è come questa condizione molto pratica abbia preso una forma religiosa: l’identificazione tra Gesù, luce, e male, buio, a cui l’iconografia cristiana ha sempre fatto riferimento, si carica qui di un significato ben più prosaico. Eppure la comunità è coinvolta fortemente in questi rituali per chiedere, evocare la luce. Il regista non manca però di farci comprendere, con alcuni estratti di notiziario, che nel «buio» si muovono interessi ben precisi, e che la situazione non è casuale ma legata a battaglie tra politica e corporation – nello specifico, spagnole e cinesi – su chi, e come, deve realizzare il progetto per fornire stabilmente l’elettricità alla città.

LA CONDIZIONE di buio in cui gli abitanti di Kinshasa vivono – che ha tutta una serie di conseguenze nella quotidanità, tra cui la scarsa sicurezza nell’attraversare la città da parte delle donne – offre al regista una sfida formale pienamente vinta: il buio di Makengo crea una dimensione estetica affascinante in cui calarsi, pur senza mai perdere di vista la situazione drammatica in cui gli abitanti vivono. Situazione resa ancora più grave dalle continue inondazioni del fiume Congo, con villaggi che ciclicamente vengono letteralmente sommersi dall’acqua. Un film che, senza essere didascalico, chiama tutti alle proprie responsabilità.