Nessuna concessione. Le autorità ucraine fanno quadrato per ribadire la propria intransigenza nei confronti dell’invasore, dopo che è stata paventata – in maniera ipotetica e a margine di un incontro che aveva scarso o quasi nullo valore diplomatico – la possibilità che Kiev cedesse territori alla Russia in cambio di un ingresso rapido nella Nato. È quanto ha suggerito l’altro ieri Stian Jennsen, direttore dell’ufficio privato del segretario generale dell’Alleanza Atlantica, durante una tavola rotonda ad Arendal, Norvegia. Aggiungendo però che «spetterebbe in ogni caso all’Ucraina capire se e come negoziare» (citato dal giornale Vg).

LA REAZIONE non si è fatta attendere: il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, scrivendo sui social, ha bollato l’eventualità come «ridicola», mentre Davyd Arakhamiia, segretario del partito di Zelensky, ha affermato che si tratterebbe di un «invito per chiunque a intraprendere aggressioni militari».

Sulla scia delle polemiche, la Nato ha comunque precisato attraverso un portavoce che la posizione dell’Alleanza non è cambiata e che «continuerà a sostenere l’Ucraina fino a quando sarà necessario», mentre lo stesso Jennsen nel pomeriggio di ieri ha definito le proprie dichiarazioni «un errore». È però vero che voci su presunte pressioni su Kiev da parte degli alleati occidentali per arrivare a un negoziato si rincorrono da giorni – forse anche come effetto delle strategie di disinformazione del Cremlino.

Il segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa ucraino Oleksiy Danilov, in un’intervista a Repubblica, smentisce tutto e ribadisce che la Russia «deve essere distrutta». Iryna Vereshchuk, vice prima ministra, rincara la dose: «La guerra non finirà né quest’anno né la prossima primavera, dobbiamo essere onesti. Occorre prepararsi per una battaglia molto lunga», ha scritto sul suo canale Telegram. Affermazioni che si riflettono anche nelle cifre: proprio ieri il ministero delle finanze ucraino ha fatto sapere che il mantenimento del personale militare ha rappresentato la maggior voce di spesa del bugdet statale nei primi sei mesi del 2023 (circa 44 miliardi di dollari, un terzo del totale).

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D’ALTRONDE, la necessità per Kiev di difendere il proprio territorio non è andata scemando: nella prima mattinata di ferragosto, l’esercito russo ha sferrato un altro attacco missilistico di grosse dimensioni che ha coinvolto anche le regioni occidentali. Secondo fonti locali, numerosi edifici residenziali sono stati danneggiati a Leopoli mentre sono morti tre dipendenti della sede dell’azienda svedese Skf nella città di Lutsk, non distante dal confine polacco.

Un incendio presso una struttura industriale si è verificato a Dnipro, mentre mercoledì a Cherson ci sono stati altri feriti, tra città e villaggi circostanti. Ma la minaccia pare sia arrivata anche via terra: il comandante militare ucraino Serhii Naiev ha riferito di aver respinto un tentativo di ingresso di unità russe di sabotaggio presso il confine della regione di Cernihiv (tentativo che, secondo Naiev, si era già verificato in un paio di altre occasioni).

INTANTO, PROSEGUONO le schermaglie sul Mar Nero. Dopo che il Cremlino ha attaccato nuovamente i depositi del grano, stavolta al porto di Reni sul Danubio, una nave mercantile battente bandiera di Hong Kong ha finalmente lasciato Odessa ieri mattina. È la prima imbarcazione a farlo in seguito al ritiro russo dall’accordo. «Libertà e sicurezza della navigazione sono dei principi internazionali fondamentali», ha scritto Zelensky, conscio che sulla questione del grano si gioca un’importante partita diplomatica. Tuttavia il nome del presidente ucraino non compare tra gli invitati al G20 di Nuova Delhi che si terrà a settembre, al contrario del suo omologo a Mosca, e il ministro della Difesa cinese in visita a Minsk ha confermato la cooperazione militare del suo paese con Russia e Bielorussia. Lo stallo, dunque, non è solo sul campo di battaglia.