L’hanno ribattezzata «dittatura digitale». È il programma di sorveglianza digitale e la censura del web messi in piedi dalla giunta militare birmana salita al potere con un colpo di stato il primo febbraio del 2021 che, secondo l’organizzazione per i diritti umani Justice for Myanmar, «mette a rischio vite umane e ostacola ulteriormente l’accesso del popolo all’informazione e alla libertà di espressione». Il tutto attraverso «un nuovo sistema che utilizza il Tiangou Secure Gateway (TGS) e il Cyber Narrator di Jizhi (Hainan) Information Technology Company Limited (nota anche come Geedge Networks), una società cinese di apparecchiature e soluzioni per la sicurezza e l’intelligence delle reti private». In poche parole, tramite tecnologie e software forniti ai golpisti birmani dalla confinante Repubblica Popolare Cinese.

ATTRAVERSO queste attrezzature, la giunta al potere riesce a ostacolare ulteriormente l’accesso alle informazioni e limitare la libertà di espressione del popolo birmano. Come? Bloccando i social media, monitorando le comunicazioni che avvengono via smartphone o tablet, tramite applicazioni che tracciano la posizione degli utenti. E quindi dei ribelli, degli antagonisti, dei movimenti pro-democrazia. Di qualsiasi persona non voglia sottostare al controllo capillare e digitale, della dittatura militare. Tra queste tecnologie, anche quelle che consentono alla giunta di capire chi sta usando una Vpn: una rete privata virtuale, che ti consente di provare a diventare un soggetto anonimo allacciato alla rete e quindi comunemente utilizzate lì per aggirare la censura e la sorveglianza della giunta. In Birmania, il solo uso di una Vpn potrebbe per la giunta significare «arresto arbitrario».
Per Justice for Myanmar «alla fine di maggio 2024 la giunta ha iniziato a usare un nuovo sistema di sorveglianza e censura del web, per aumentare il proprio controllo su internet». I documenti trapelati analizzati da questa organizzazione per i diritti umani birmana indicano che il sistema ha la capacità di intercettare e decrittografare il traffico web, oppure di bloccare applicazioni e siti web.

I documenti indicano inoltre che l’uso di questi hardware di rete cinesi in grado di effettuare un’ispezione approfondita dei pacchetti dati in transito (anche tramite l’intelligenza artificiale), abbinato al controllo esercitato da parte della giunta sugli operatori di telefonia mobile e delle compagnie che forniscono internet, le consentirebbe di «decodificare, analizzare ed elaborare il traffico internet di un utente, cosa che potrebbe includere anche il contenuto di messaggi ed email».

TRA I SISTEMI forniti ai golpisti dai cinesi c’è ad esempio il già citato Cyber Narrator. Tra le sue caratteristiche principali la capacità di profilare chi naviga, stabilire che applicazioni usa, registrare dominio, indirizzo Ip, nome dell’abbonato, evidenziando comportamenti sospetti, eventi correlati, relazioni tra utenti. A produrlo è la Geedge Network, fondata nel 2018 da uno dei “padri” del Great Firewall cinese che censura internet in Cina. Per Khit Thit Media, in Myanmar sarebbero presenti tecnici cinesi per implementare il sistema di censura e sorveglianza di internet gestito dal ministero delle Comunicazioni e dei Trasporti controllato dalla giunta.

MA LA CINA sta fornendo anche altro ai militari golpisti birmani. Secondo una fonte di Justice for Myanmar, a fare da tramite in questo caso sarebbe il Mascots Group (una rete di cinque società). Oggetto dell’accordo, la fornitura alla giunta al potere di un sistema di localizzazione prodotto da China National Electronics Import and Export Corporation (Ceiec). Questa impresa statale cinese, già fornitrice chiave dei sistemi radar per l’esercito del Myanmar, è stata sanzionata dagli Usa nel novembre 2020 per aver fornito al governo venezuelano una versione commercializzata del Great Firewall cinese.

Justice for Myanmar fa risuonare anche un altro campanello d’allarme: il Mascots Group birmano nel 2024 ha aperto una società in Thailandia, la Mascots Technologies Company Limited. «Il rischio di tale operazione è che quel Paese possa ora essere utilizzato per procurarsi altre attrezzature e tecnologie per la giunta militare e accedere al sistema finanziario internazionale», dice il gruppo per i diritti umani al manifesto. Del resto secondo i registri delle importazioni, «dopo il colpo di stato militare in Myanmar, la Mascots Technologies e la Mascots Didactic & Analytical Company Limited sono già state utilizzate per l’acquisto di attrezzature scientifiche e per la telecomunicazioni dall’India». Tanto da essere state citate nelle relazioni del Relatore speciale delle Nazioni unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar come aziende che hanno fatto parte di una rete per l’intermediazione nella vendita di armi.

IL MASCOTS GROUP è peraltro impegnato da tempo nell’aiutare la giunta a vietare e impedire l’uso dei social network come Facebook, fino al punto di «trarre profitto dal lancio di un social media autorizzato, MySpace Myanmar, totalmente sotto il controllo della giunta». Fondato nel novembre 2023, rivendica oltre 20mila utenti attivi. Grazie alle segnalazioni degli attivisti birmani pro-democrazia, l’app di MySpace Myanmar è stata poi rimossa dal Google Store. Come sempre in questi casi, Justice for Myanmar chiede a Stati uniti, Unione europea, Thailandia e Singapore di agire nei confronti delle società e dei soggetti coinvolti, come quelli del Mascots Group: Win Kyaw (amministratore unico), sua moglie Khin Kay Khaing e i loro stretti collaboratori Maung Maung Oo e Htin Lin.