«Volete la nostra difesa? Ci dovete pagare». Con l’orecchio bendato, Donald Trump intravede la Casa bianca più vicina. E in un’intervista a Bloomberg fa invece ascoltare al mondo la stessa musica proposta durante il suo primo mandato: alleanze e partnership hanno un prezzo. Una sinfonia che ha già mandato nel panico l’Europa, che teme di essere abbandonata nella gestione della guerra in Ucraina e diversi altri fonti di crisi. Ma che ora preoccupa anche l’Asia. A partire da Taiwan, oggetto dell’avvertimento dell’aspirante prossimo presidente degli Stati uniti, paragonati da Trump a una «compagnia di assicurazioni» che, in cambio della tutela difensiva rispetto alle possibili mosse di Pechino, da Taipei «non riceve nulla».

Il sopravvissuto agli spari in Pennsylvania prosegue: «Conosco la gente di Taiwan molto bene, la rispetto molto. Si sono presi circa il cento per cento del nostro business dei chip». Il riferimento è ai colossi taiwanesi dei semiconduttori, a partire da Tsmc, che hanno in realtà costruito un sistema integrato di fabbricazione e assemblaggio che li rende indispensabili a tutto il mondo. Usa e Cina compresi, con Tsmc che sta peraltro costruendo tre fabbriche in Arizona in un maxi progetto dalla cifra monstre di 65 miliardi di dollari. Non è certo un caso che ieri le azioni del gigante fondato da Morris Chang siano nettamente calate in borsa. Da Taipei, il premier Cho Jung-tai ha subito risposto, garantendo che le relazioni con Washington resteranno «solide» a prescindere dall’esito delle elezioni di novembre. E garantendo che Taiwan è disposta ad aumentare gli impegni in materia di difesa, sottolineando la costante crescita del budget militare e l’ampliamento della leva obbligatoria deciso a fine 2022.

Ma la realtà è che, come già in passato, serpeggia qualche preoccupazione sulla tenuta del sistema di sicurezza e di alleanze degli Usa in Asia-Pacifico. Taipei è fiduciosa di restare una priorità dell’approccio globale di Washington anche in caso di un Trump bis, ma sa che ha bisogno di essere posta all’interno di un’architettura regionale le cui fondamenta devono essere periodicamente rafforzate dagli Stati uniti.

Altrove si teme ancora di piu un parziale disimpegno. Per esempio in Corea del sud, che insiste per rinnovare l’accordo di difesa prima delle elezioni, nonostante la scadenza sia nel 2025. Nel 2020, Trump aveva definito Seul «molto ricca», chiedendo un drastico aumento del contributo per mantenere i quasi 29mila soldati statunitensi sul suolo sudcoreano e alludendo a un possibile ritiro. Lo stesso approccio era stato adottato con le Filippine dove, forse in previsione di un ritorno di Donald, il presidente Ferdinand Marcos Jr sta ora cercando di arrivare a una de-escalation nella disputa con Pechino sul mar Cinese meridionale.