«Allarme raid aerei. Missile sorvola lo spazio aereo di Taiwan, attenzione». Era il testo dell’allerta presidenziale ricevuta da tutti i telefonini agganciati alle celle taiwanesi dopo le tre del pomeriggio di martedì. Un’ora e mezza dopo, quando già era chiaro che si trattava di un satellite cinese e non di un missile, è arrivato un comunicato di spiegazioni e scuse del ministero della Difesa: «La traiettoria è stata inaspettata ed è diventata esoatmosferica quando il veicolo si trovava sopra lo spazio aereo meridionale di Taiwan». E «il messaggio inglese predefinito non è stato rivisto e pertanto indicava erroneamente il veicolo di lancio».

UN PASSAGGIO non decisivo, forse, in una campagna elettorale lunga e con tanti dossier aperti. Ma da due giorni quel falso allarme mantiene il centro del dibattito in vista delle presidenziali e legislative taiwanesi di sabato. L’opposizione alimenta la teoria del complotto, col governo inviso a Pechino che avrebbe esagerato la reazione al satellite per scopi elettorali. L’esecutivo elenca invece i presunti tentativi di «interferenza» pro opposizione da parte del Partito comunista.
Nell’anno più elettorale di sempre, il voto di Taiwan occupa i primissimi posti per rilevanza e interesse globali, dopo anni di tensioni e zero dialogo tra le due sponde dello Stretto. Un aspetto che, rispetto al 2020, sembra però appassionare meno gli elettori. Quattro anni fa il tema identitario dominò il voto: la repressione delle proteste di Hong Kong e la scure sulla sua autonomia spalancarono la strada alla conferma di Tsai Ing-wen. Una pandemia, varie guerre e una progressiva erosione diplomatica e militare dello status quo dopo, i taiwanesi rifiutano in blocco il modello “un paese, due sistemi”, ma allo stesso tempo vanno alle urne pensando ai problemi irrisolti dai due mandati della presidente uscente Tsai Ing-wen: prezzi delle case alti e salari bassi su tutti. Ma anche energia, con l’opposizione che contesta il no al nucleare del Partito progressista democratico (Dpp), e la pena di morte che, seppur ormai esista solo su carta, gode ancora di ampio consenso popolare.

DOPO OTTO ANNI al potere, il Dpp sembra aver perso una cospicua fetta di consensi. Non a caso, il suo candidato Lai Ching-te è il favorito soprattutto grazie alla scenografica rottura dell’alleanza tra Guomindang (Gmd) e Partito popolare di Taiwan (Tpp), sancita tra accuse e insulti in live streaming. L’opposizione si presenta divisa: da una parte l’ex poliziotto Hou Yu-ih, dall’altra l’ex medico Ko Wen-je. Quest’ultimo, pur terzo negli ultimi sondaggi pubblicati prima del loro divieto, appare il preferito dai giovani. «È l’unico che parla davvero dei temi reali ed è il più onesto», recitano diversi commenti social al dibattito tv fra i tre candidati.

I VARIOPINTI comizi si succedono senza sosta in tutte le città dell’isola, tra colori sgargianti, musica da stadio, travestimenti, spade laser e scene folkloristiche. Qualche esempio? I pianti di Lai e Ko o il finto giuramento di Hou. Tutti i candidati promettono che manterranno lo status quo. Ma il Dpp sostiene che si debbano innanzitutto rafforzare i rapporti con gli Usa e l’esercito per evitare un’azione militare di Pechino. Il Gmd pensa invece che si debbano rilanciare accordi culturali e commerciali per abbassare il rischio di una guerra. Lai lo ritiene un passo verso la «riunificazione» desiderata dalla Repubblica popolare, i cui funzionari militari hanno ribadito proprio ieri (nel primo colloquio dal 2021) ai colleghi del Pentagono: «Su Taiwan non ci sarà mai il minimo compromesso».