A pochi giorni dal 45esimo anniversario della legge 180, la cosiddetta Basaglia del 13 maggio 1978, stasera in decine di città si accenderanno fiaccole per illuminare un problema: quello che, secondo i medici, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari che parteciperanno a queste manifestazioni, è stato evidenziato il giorno in cui, a Pisa, un malato psichico ha ucciso la dottoressa che lo aveva in cura, Barbara Capovani. Lo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil medici e dirigenti del Ssn, che lavora all’Spdc del Policlinico Umberto I a Roma, spiega: «Come organizzazione intersindacale abbiamo voluto intercettare il bisogno di manifestare vicinanza alla famiglia, ai colleghi e agli amici di Barbara Capovani, ma anche il fortissimo disagio che oggi ricade tutto sui professionisti della salute. La cosa interessante è che dalla nostra iniziativa ne sono nate tantissime altre spontanee, anche con gli ordini professionali territoriali».

Perché scendere in piazza?

In quest’iniziativa stiamo solo, rispettosamente in silenzio, cominciando a dimostrare che quello che è accaduto alla collega era prevedibilissimo, non solo per gli eventi specifici di questo caso: è la dimostrazione plastica di una grave carenza strutturale e di personale nei servizi di salute mentale prodotta negli anni.

Quali carenze esattamente?

Prima di tutto il definanziamento dei servizi, che ha significato riduzione del personale e delle strutture adeguate, sovraccaricando i servizi di emergenza e gli psichiatri, sempre più isolati. Tra infermieri, medici e operatori sanitari sono circa 10 mila le figure professionali che mancano all’appello nei servizi di salute mentale, sia negli ospedali che negli ambulatori territoriali.

Parliamo dei Centri di salute mentale: cosa rischia di incrinare la relazione medico-paziente?

Ciò che è successo a Barbara è la conseguenza di tre fattori: il primo è dovuto alle scelte di definanziamento, il secondo è la criminalizzazione perpetrata negli anni del ruolo degli psichiatri. Un certo tipo di cultura anti psichiatrica è intervenuta danneggiando il cardine della possibilità relazionale terapeutica dei professionisti con i pazienti e con le loro famiglie. Per anni ci hanno fatto passare come quelli che danno solo farmaci, che contengono le persone, per nemici invece che alleati dei pazienti. E un certo tipo di cultura esaltava personaggi come l’assassino, Seung, li portava in giro per i convegni. Il punto determinante è la criminalizzazione, quella che in termini generali è l’operazione culturale denigratoria che da Brunetta in poi è stata fatta contro tutti i dipendenti pubblici, fatti passare come sfruttatori dello Stato.

Nel 2014 sono stati chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari e istituite le Rems con l’idea di intensificare contemporaneamente le rete di servizi di prevenzione e cura territoriali. Cosa è successo invece?

Qui c’è un grande tema, da cui consegue il buco legislativo di oggi: dalla 180 in poi, non si è voluto più riconoscere che anche i pazienti psichiatrici possano diventare pericolosi come tutti gli altri. E la giusta chiusura degli Opg non è stata accompagnata dall’individuazione di strutture adeguate alle persone che oltre ad avere una patologia psichiatrica sono anche pericolose.

C’è chi, tra gli stessi basagliani, chiede che il folle reo sconti la pena come gli altri, e si eviti invece di ricostruire piccoli manicomi. Cosa ne pensa?

Onestamente, questo mi sembra un rischio di cultura controriformista da contrastare. Secondo me per sottrarsi dall’idea che la salute mentale si debba occupare anche quando necessario della violenza, neghiamo questo concetto e lo scarichiamo sulla questione della punibilità e sui luoghi di detenzione. E invece fra il carcere per le persone che abbiano capacità di intendere e volere e i servizi di salute mentali inadeguati, comprese le Rems, in mezzo dovrebbero esserci anche luoghi per contenere malati violenti e curarli contemporaneamente. Se una persona affetta da patologia mentale non è imputabile, inevitabilmente non sappiamo dove metterla. Non so esattamente come, ma in ogni caso, se gli psichiatri non devono essere lasciati soli, dire invece che la psichiatria non debba essere delegata al contenimento di persone violente è ciò che in questi anni ha portato tragedie come quella di Barbara.

Nel 2022 prima la Corte europea dei diritti umani poi la Consulta hanno chiesto una complessiva riforma delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

Le Rems vanno ampliate e devono essere riformate come concetto: dovrebbero avere anche una possibilità di contenimento e di sicurezza delegata alle forze dell’ordine. Non capisco la paura di ricostituire i manicomi: cosa c’entra? Perché, allora è meglio il carcere, per i pazienti psichiatrici? Ci stiamo muovendo tra uno Scilla e Cariddi di chi pensa che il paziente psichiatrico non è mai pericoloso e chi dice che se lo diventa deve essere imputabile e andare in carcere.

Al governo però c’è chi vuole una contro-riforma, rimettere le mani sulla legge Basaglia…

Ma così ci sottoponiamo a questo rischio. Quando invece la legge Basaglia, in termini strutturali e non ideologici, ha fatto un’operazione straordinaria di costruire servizi di prossimità e presa in carico delle persone.

La Società Italiana di Neuropsichiatria infantile dice che «il 75% delle patologie psichiatriche dell’adulto esordiscono prima dei 15 anni, e il 50% prima dei 10 anni. Dunque come si fa prevenzione?

E questo è l’altro punto cardine: lo smantellamento dei servizi territoriali ha annullato la prevenzione. Se il personale è ridotto all’osso non si può fare altro che un lavoro di attesa, e inevitabilmente quando le persone arrivano è quasi sempre troppo tardi. E invece bisognerebbe andare nelle scuole a promuovere la salute mentale, dobbiamo parlare con gli insegnanti e le famiglie, per diffondere una cultura di individuazione del disagio. Cosa che oggi, con più di 200 pazienti assegnati a ciascuno psichiatra dei Csm, è impossibile.

La coperta è corta, si dice: se i soldi vanno alle strutture residenziali, e soprattutto a quelle private, rimane poco per i Csm.

Certo, ma non metterei in contrapposizione strutture pubbliche residenziali con quelle di prevenzione. La voragine che succhia soldi è il privato convenzionato. Da sempre diciamo che bisogna mettere a disposizione risorse aggiuntive e spendere più per la prevenzione e la cura degli esordi che non per la cronicità, che in futuro potrebbe così essere ridotta. Senza abbandonare i pazienti cronici, però.

Negli ultimi anni sono in aumento i disturbi mentali?

Già prima della pandemia è cambiata molto la patologia mentale: si sta sempre più strutturando verso alterazioni comportamentali e quindi anche abitudini di vita alterati tra cui le dipendenze. La comorbilità è molto aumentata. Pensiamo ai ragazzi che tentano il suicidio o fanno atti di autolesionismo: sono pericolosi per se stessi e non per altri. Con il lockdown poi è aumentato moltissimo il sommerso del disagio psicologico che può trasformarsi in patologia. Non a caso due anni fa l’unione degli studenti universitari e medi ha dato vita ad una splendida iniziativa – «Chiedimi come sto» – somministrato un questionario a 37 mila studenti ed evidenziando scientificamente un enorme aumento del disagio psicologico tra i più giovani. Un progetto finanziato dallo Spi Cgil, cioè dai pensionati, che ha richiesto sportelli e psicologi di sostegno nelle scuole. Ebbene le risposte delle istituzioni, di destra e di sinistra, sono state solo operazioni di propaganda che favoriscono il privato, come il bonus psicologico.

Il governo Meloni però ha predisposto un tavolo tecnico.

Dobbiamo riconoscere che è una proposta di buon senso del ministro Schillaci, un tecnico senza soldi perché quelli li ha il Mef. Purtroppo però si tratta di un tavolo solo di professionisti, che mostra tutta la cultura della disintermediazione sociale. Senza le prerogative sindacali, metteremo solo toppe, frammentando il sistema sanitario e non vedendo le necessità d’insieme.