Chiudete i reparti. La richiesta estrema arriva dagli infermieri dell’ospedale «Sandro Pertini», un simbolo dello stato in cui versa il servizio sanitario del Lazio e forse di gran parte del Paese. Siamo a Roma, nel cuore della Asl «Roma 2», la più grande d’Italia con 1,3 milioni di assistiti e dove il personale non ce la fa più. Per riassumere la situazione basta dare due numeri.

Il primo è «17»: sono le ore consecutive di lavoro capitate a diversi infermieri del «Pertini» a causa della carenza di organico. Ormai basta una banale assenza per malattia e a un infermiere – più spesso un’infermiera – non è più permesso staccare, pena l’incriminazione per abbandono di incapace. È capitato anche pochi giorni fa a Sandra (nome di fantasia), infermiera che al momento di tornare a casa ha avuto l’ordine di servizio che costringe a rimanere sul posto di lavoro dal pomeriggio all’alba del giorno dopo. Fa niente se Sandra lavora nel reparto di rianimazione, a contatto con i pazienti più fragili e bisognosi di attenzione, non certo di personale al limite dello sfinimento. E fa niente se è una mamma single di un bambino e a casa deve anche badare a un genitore invalido.

Non si tratta di un caso singolo. Pochi giorni prima, la stessa cosa era successa in radiologia, a una collega di Sandra che avrebbe dovuto tornare a casa a assistere due figli di cui uno disabile, con un coniuge anche lui infermiere e sottoposto alle stesse condizioni. Alla fine, a causa dello stress al pronto soccorso ci è finita lei. Le denunce, raccolte dal sindacato Nursind e ora inviate all’ispettorato del lavoro, arrivano anche da altri reparti della struttura. La stessa Asl ammette che il problema esiste e che solo nei primi quattro mesi del 2024 – prima degli episodi raccontati, che non sono gli ultimi – si era già ripetuta nove volte.

L’altro numero è «650.000». È il numero abnorme delle ore di straordinario accumulate dai dipendenti della Asl Roma 2. Nessuno dovrebbe superare le 180 ore annuali secondo il contratto collettivo del comparto. Ma c’è chi nel 2023 è arrivato a oltre quattrocento ore, oltre due mesi di lavoro in più. I reparti in crisi sono sempre gli stessi: pronto soccorso, rianimazione, osservazione breve, medicina, chirurgia dove, spiega il sindacalista Nursind Carlo Torricella, «infermieri e infermiere vedono i propri turni cambiare di giorno in giorno, non sanno mai se potranno tornare a casa o meno».

Al caos dell’ospedale adesso si somma quello del territorio. Al Pertini è stato realizzato un ospedale di comunità, di quelli previsti dal Pnrr destinati a pazienti cronici a bassa intensità che non richiedono la presenza di medici. Invece, vengono usati per alleggerire i reparti sovraccarichi di pazienti «veri». Il risultato? «La Asl sta cercando di tamponare la situazione» riconosce il sindacalista. «Ma all’ospedale di comunità realizzato al Pertini ci sono solo infermieri e se un paziente muore non trovano un medico a cui rivolgersi per la firma del certificato di morte». A questo punto, meglio non accettare più pazienti? «Senza gli infermieri – Torricella allarga le braccia – gli ospedali chiudono».