La maggioranza di governo è testarda ma i fatti ancora di più. Poche ore dopo l’approvazione dell’autonomia differenziata emerge in tutta evidenza la realtà di un’Italia già ammalata di regionalismo e che avrebbe bisogno, semmai, di maggiore coesione. Ci pensano diversi istituti di ricerca a dimostrare dove porta la narrazione del ddl Calderoli: l’Italia della salute si presenta già fratturata in più punti con il federalismo che c’è e quello che verrà rischia di spaccarla definitivamente.

CI PENSA prima il rapporto del «Centro per la ricerca economica applicata in Sanità» dell’università di Tor Vergata, presentato ieri a Roma: la mappa che ne riassume il contenuto si mostra in verde al di sopra dell’Umbria, gialla dal Lazio in giù e tristemente rossa in Basilicata, Calabria e Sicilia. I colori rispecchiano le performance di salute, sintetizzate in un indice che tiene conto di equità, esiti, appropriatezza e innovazione del servizio sanitario. «La valutazione 2024 delle Performance regionali in tema di opportunità di tutela socio-sanitaria offerta ai propri cittadini – si legge nel rapporto – oscilla da un massimo del 60% (fatto 100% il risultato massimo raggiungibile) a un minimo del 26%: il risultato migliore lo ottiene il Veneto e il peggiore la Calabria». Desolante la conclusione: «Il divario fra la prima e l’ultima Regione è decisamente rilevante: un terzo delle Regioni non arriva a un livello pari al 40% del massimo ottenibile». Se «sembra essersi registrato una significativa riduzione delle distanze in termini di opportunità di tutela della salute fra Meridione e Settentrione», spiega il rapporto, è perché le Regioni con le performance migliori hanno smesso di migliorare «probabilmente a indicare l’esistenza di limiti strutturali nell’attuale assetto del sistema sanitario».

CONFERMA IL QUADRO anche il rapporto Istat «Noi Italia 2024» pubblicato ieri che, nel ritratto complessivo del Paese, dedica un capitolo a «sanità e salute». Il rapporto mostra come a parità di potere d’acquisto, cioè tenendo conto del diverso costo della vita, la spesa sanitaria italiana pro capite (3.051 dollari, l’unità di misura scelta per i confronti internazionali) sia inferiore alla metà di quella tedesca (6.424 dollari). Ma anche in Francia, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia la spesa unitaria va oltre quota cinquemila. Al contrario, l’Italia spicca per spesa privata, soldi che escono direttamente dalle tasche dei cittadini e che si sommano alle tasse (per chi le paga): da noi è un quarto del totale (24,1%) e solo in Grecia e Portogallo va peggio.

AL CONTRARIO, in Germania la spesa non è solo più alta, ma è quasi del tutto pubblica, con solo il 13,5% di spesa out of pocket. Ma anche l’Istat mostra che l’Italia è fatta da più Paesi in uno. Gli abitanti di Calabria e Campania, ad esempio, dispongono di 2,2 e 2,5 posti letto in ospedale ogni mille abitanti e la Calabria è quella che ne ha tagliati di più tra il 2020 e il 2022 (-17%). In Emilia-Romagna (3,6) e in Trentino (3,7) sono quasi il doppio e in entrambe le Regioni si è registrato un aumento di posti letto del 7% in un biennio. Il risultato in termini clinici è crudo quanto diretto: nel Nord-est il tasso di mortalità evitabile è di 16,9 decessi per diecimila abitanti e nel sud di 21,8, quasi 5 in più. Campania, Molise e Sicilia sono le regioni in cui si muore di più sia per patologie trattabili (cioè che potrebbero essere curate con un’assistenza migliore) che per quelle prevenibili con interventi su stili di vita e vaccinazioni. Persino la mortalità infantile del mezzogiorno (3,2 ogni mille nati vivi) è più alta rispetto alla media nazionale (2,6).

IN AUMENTO anche la mobilità sanitaria, cioè il numero di pazienti che si spostano da una regione all’altra per le cure. La regione più ricercata è l’Emilia-Romagna, dove l’immigrazione sanitaria è in costante aumento dal 2018 e il saldo tra chi arriva e chi parte supera anche quello della Lombardia. Dopo la lettura dei dati assumono un significato sinistro le parole con cui il ministro della salute Schillaci commenta l’impatto della riforma sul diritto universale alla salute: «L’autonomia differenziata già esiste in sanità – ha provato a rassicurare il radiologo -. Le Regioni hanno grande autonomia e in questo settore cambierà poco». Visto il quadro, assomiglia tanto a una minaccia.