All’85,4% dei taiwanesi piace lo status quo. Con varie declinazioni, tre delle quali con un gradimento sostanzialmente identico: decidere più avanti (28,8%), procedere verso la piena indipendenza (25,8%), mantenere lo status quo a tempo indefinito (25,5%). C’è poi un numero sempre minore che vuole lo status quo procedendo verso l’unificazione (5,6%). A Xi Jinping e Joe Biden, però, lo status quo sembra iniziare ad andare stretto, nonostante i risultati dell’ultimo sondaggio disponibile della National Chengchi University di Taipei.

Da una parte le incursioni aeree e la crescente pressione militare dell’Esercito popolare di liberazione, dall’altra le dichiarazioni a effetto in arrivo dalla Casa Bianca.

«GLI STATI UNITI difenderebbero Taiwan in caso di attacco?», chiede un giornalista della Cnn. «Sì, abbiamo un impegno a farlo», risponde Biden. È la seconda volta nel giro di due mesi che il presidente americano parla di un impegno che sulla carta, in realtà, non esiste.

Il Taiwan Relations Act, il pilastro del mantenimento della pace sullo stretto nonché strumento regolatore dei rapporti Washington-Taipei, prevede l’impegno a supportare gli sforzi dell’isola a proteggersi, per esempio attraverso la vendita di armi. Ma è proprio sull’assenza dell’impegno a intervenire in caso di guerra che si è sempre basata la cosiddetta «ambiguità strategica» della postura statunitense.

«RIPOSA IN PACE, ambiguità strategica», ha commentato su Twitter l’analista Derek Grossman. Come accaduto in agosto, subito dopo il ritiro da Kabul, un portavoce della Casa Bianca ha immediatamente chiarito che le parole di Biden non implicano un cambio di strategia degli Stati Uniti su Taiwan. Ma, come fa notare sempre Grossman, non per forza il cambiamento deve essere «messo nero su bianco». Anche se la linea ufficiale resta la solita, le ripetute dichiarazioni di Biden sull’argomento non sarebbero dunque delle «gaffe» ma segnali di «chiarezza strategica» con due destinatari: Pechino, con finalità di deterrenza, e Taipei, con finalità di rassicurazione. Finora, Taipei aveva preferito la sicurezza dell’ambiguità allo sconosciuto approdo della chiarezza.

LE CRESCENTI PRESSIONI militari cinesi stanno però portando Washington a voler scoprire qualche carta in più, al di là dei sondaggi o dei potenziali esiti. Un portavoce della presidente Tsai Ing-wen ha commentato in modo positivo l’impegno «saldo come una roccia» di Biden su Taiwan, pur senza entrare nel dettaglio delle ultime dichiarazioni. Anche perché la stessa Taipei si trova spesso a cercare di decifrare le sue uscite, come quando aveva fatto riferimento a un presunto “accordo su Taiwan” al cui rispetto si sarebbe impegnato anche Xi.

COME PREVEDIBILE, invece, la Cina non ha reagito bene. Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri, ha chiesto agli Stati Uniti di evitare di «mandare segnali sbagliati» e ha ribadito che sulle «questioni interne», come quella di Taiwan viene considerata dal Partito comunista, «non c’è spazio per concessioni o compromessi». Nel frattempo, il governo taiwanese cerca di proiettarsi anche ad altre latitudini.

In questi giorni una delegazione diplomatica di 66 ufficiali, compreso il ministro degli Esteri Joseph Wu, compirà un tour tra Slovacchia, Repubblica Ceca e Lituania. Tre fra i paesi dell’Europa nord-orientale che più si sono allontanati dall’orbita di Pechino negli ultimi tempi.

Il tutto dopo che il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che chiede di rafforzare i legami Bruxelles-Taipei. Oltre alle instabili passioni, Taiwan cerca nuove relazioni.