Botta e risposta tra Bruxelles e Varsavia nel corso dell’ennesimo round su stato di diritto e giustizia in Polonia nella giornata di mercoledì. Questa volta almeno, la Corte di giustizia dell’Ue ha battuto sul tempo il governo della destra populista di Diritto e giustizia (Pis) nonché il Tribunale costituzionale da esso controllato.
Il tribunale europeo con sede in Lussemburgo si è pronunciato a favore del ricorso della Commissione europea contro la riforma della giustizia: «La Polonia deve sospendere immediatamente l’applicazione delle disposizioni nazionali relative in particolare ai poteri della sezione disciplinare della Corte suprema». E una batosta dura da digerire per la coalizione guidata dal Pis che vorrebbe agitare lo spauracchio di questo organo − un’altra creatura del «superministro alla giustizia» e procuratore generale Zbigniew Ziobro − senza impedimenti per controllare l’operato di magistrati e avvocati in tutto il paese.
Poche ore dopo è arrivata invece la sentenza emessa dalla corte filo-Pis che ha dichiarato anticostituzionali le norme dei trattati Ue sull’adozione di misure provvisorie di sospensione in materia di giustizia. Il Tribunale costituzionale, prima dell’era targata Pis, aveva dichiarato la superiorità nella gerarchie delle fonti della Costituzione polacca sul diritto Ue. Ma parliamo della Costituzione in sé, appunto, e non del verdetto di un organo puntellato da magistrati ligi al potere politico e favorevoli all’«orbanizacja» della Polonia. A rendere ancora più discutibile questo pronunciamento il fatto che la corte si sarebbe dovuta riunire nella composizione plenaria per deliberare (quindici magistrati ndr).
La sentenza che mette in discussione gli impegni presi dalla Polonia come Paese membro in materia di trattati Ue, è stata presa soltanto da 5 giudici della corte. Consapevole di non poter «bloccare» Bruxelles da un punto di vista procedurale, al di là di ogni efficacia pratica dei castighi Ue di lì a venire, Varsavia punta ancora una volta tutto su una narrazione mirante a polarizzare l’opinione pubblica. E la solita retorica del «noi oppure loro», che domina come al solito la politica polacca attraverso la cosiddetta «guerra polsko-polska» tra sostenitori e oppositori del Pis.
Viene chiesto ai cittadini di scegliere tra sovranità nazionale e sottomissione ai dettami di Bruxelles, quando invece le istituzioni europee chiedono soltanto a Varsavia di rispettare i trattati e gli impegni presi dalla Polonia per entrare nell’Ue. «La Polonia era conoscenza del ruolo della Corte di giustizia dell’Ue quando ha ratificato il Trattato di Lisbona», ha sottolineato l’ormai ex difensore civico Adam Bodnar, uno degli ultimi baluardi dello stato di diritto in Polonia.
Ieri il suo incarico da ombudsman si è ufficialmente concluso ma Bodnar ha fatto comunque in tempo a scrivere al Commissario europeo per la giustizia Didier Reynders. Forse non ci sono ancora gli estremi per parlare di «Polexit», eppure l’aria che tira anche tra le forze all’opposizione non è delle migliori. «Non è la Polonia ma sono soltanto Kaczynski e il suo partito a uscire dall’Ue. Soltanto noi polacchi possiamo opporvici in modo efficace. Questo perché, nonostante la propaganda del Pis, nessuno ci costringe a restare nell’Ue», ha dichiarato l’ex Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk che dovrebbe tornare presto a misurarsi nell’arena politica nazionale.
Intanto, con questa sentenza, Varsavia sembra essersi cacciata in un vicolo cieco sul lungo termine: in teoria per superare l’impasse la Polonia dovrebbe riuscire a cambiare la propria Costituzione, costringere gli altri Paesi membri a rivedere i trattati europei oppure abbandonare l’Ue. La palla adesso passa alla Commissione Ue che potrebbe chiedere presto alla corte lussemburghese di imporre delle sanzioni economiche a Varsavia.