Il Jornal de Negocios online titola a tutta pagina: «La banca del Portogallo prevede nel 2017 la maggiore crescita del secolo». Toni forti per un quotidiano che non è propriamente catalogabile come di sinistra e/o prono al governo delle sinistre.

La crescita del prodotto interno lordo per il 2017 sarà del 2,5%, superiore a quanto pronosticato, circa il 2%, appena pochi mesi fa. Un ciclo positivo che promette di mantenersi anche per il 2018 e il 2019, dove rispettivamente la tendenza del Pil segna un +2% e un +1,8%.

Medie, queste, ben al di sopra di quelle dell’Unione europea e, infatti, un altro degli argomenti del dibattito attuale è che, finalmente, dopo 17 anni, Lisbona torna a convergere con l’Europa.

Sul piano dei fondamentali quello del Pil non è l’unico dato positivo, perché il Portogallo dovrebbe uscire a breve dal procedimento per deficit eccessivo, dopo 8 anni di sforamento ora il disavanzo è sceso sotto al 2%, il che permetterà in futuro maggiori margini di spesa.

L’austerità espansiva sta dando i suoi frutti? No, forse non è sul piano dei consumi interni che bisogna cercare l’origine di una accelerazione tanto forte, visto che la loro crescita è del 2%, anzi, forse questa è proprio la nota dolente visto che, causa il  forte indebitamento delle famiglie, il dato non è altissimo. No, alla base di tutto c’è un consistente aumento delle esportazioni che segnano un +10%, anche qui le previsioni erano di molto inferiori (+6%).

Certo c’è il rovescio della medaglia: le esportazioni crescono in tutti settori, ma è soprattutto nel turismo che si concentrano, e questo, legato all’investimento, principalmente nel mercato immobiliare, determina un’esplosione dei prezzi delle abitazioni che sta facendo saltare i già precari equilibri.

Tutto questo per dire che non sono tutte rose e fiori certo, che le disuguaglianze, anche se in discesa, sono ancora molto alte. Che salari e stipendi sono bassissimi, tutto vero, però è anche vero che da un paio di anni a questa parte l’esecutivo, pur nelle immense ristrettezze di bilancio e con una moderazione che è innegabile, sta mettendo mano a tutti i disequilibri, non ultimo, quello del fragilissimo assetto del territorio.

Va sottolineato il fatto – è questa un’opinione diffusa non solo tra gli stimatori dell’attuale primo ministro António Costa – che questi dati continuano a sorprendere. Siamo di fronte a un caso dai contorni potenzialmente rivoluzionari.

Per capire meglio occorre fare un passo indietro e tornare alle settimane in cui l’ipotesi di una alleanza frentista muoveva i primi passi. Le cassandre allora avevano preconizzato che una coalizione tanto composita avrebbe avuto sicuramente innumerevoli e inevitabili conseguenze nefaste: instabilità politica, spesa pubblica senza controllo e, per i più pessimisti, un più che probabile epilogo in un ulteriore intervento della Troika. Il modello preferito era, ed è, in assenza di maggioranze monocolori, quello della «grande coalizione» tra i due partiti centristi, considerata dagli esperti come la più auspicabile. Quindi la legittimità di questa inedita alleanza passa per la sua capacità di promuovere una dinamica economica positiva, da valutarsi, purtroppo, da un punto di vista degli indicatori classici: Pil e deficit.

Grazie al raggiungimento di questi obiettivi ora in altri paesi c’è chi vorrebbe seguire l’esperienza di Lisbona. Domenica scorsa, mentre si consumava la tragedia di Pedrógão che ha portato alla morte di 64 persone, in Spagna Pedro Sánchez dichiarava nel suo comizio di reinsediamento alla segreteria del Psoe, che il modello da seguire era quello del suo vicino iberico, sottintendendo quindi la necessità di un’alleanza con Podemos. Una notizia importante per una Europa alla ricerca di nuove ricette che possano portare all’uscita dall’impasse austeritario.

Una battaglia, questa, che riguarda l’intero continente e che verrà combattuta senza esclusione di colpi. Il 21 giugno il quotidiano spagnolo El Mundo sembra volere rispondere in modo indiretto ma pervasivo a Sánchez: «La disastrosa gestione della tragedia potrebbe mettere fine alla carriera del primo ministro António Costa». Al momento nessun media portoghese mette in discussione il governo Costa per la gestione dell’incendio, anche se le polemiche stanno crescendo, ma si cerca, probabilmente, di stroncare una possibile alleanza Psoe Podemos e l’esportazione del modello portoghese.