Cresce il dissenso verso il progetto salviniano di un ponte sullo stretto di Messina. Si preannuncia massiccia e popolare la manifestazione di oggi sul versante calabrese, a Villa San Giovanni. La Rete No ponte dà appuntamento a tutte e tutti per oggi alle ore 9.30: «La mobilitazione non riguarda solo l’area dello Stretto ma l’intero mezzogiorno d’Italia, nel momento in cui l’autonomia differenziata traduce in legge le storiche diseguaglianze tra sud e nord della penisola».

A CANNITELLO, dove dovrebbe sorgere il famigerato pilone di 400 metri, un’opera realizzata per il ponte sullo Stretto c’è già da oltre dieci anni. È la «variante di Cannitello», una deviazione della ferrovia sulla costa calabrese pensata per far spazio a un pilone mai costruito. Un ecomostro costato ben 26 milioni. Sempre a Cannitello c’è buona parte delle famiglie di «espropriandi» che vivono il malessere della minaccia di perdere le proprie case: 150 espropri, un terzo prime abitazioni. A che punto è la vicenda? Pietro Ciucci, ad della società Stretto di Messina, ha rassicurato che a luglio nessuno verrà cacciato, come sembrava certo a inizio anno.

Ma il rischio resta incombente e la sofferenza palpabile. «Dal punto di vista sociale e urbanistico, Villa dovrà affrontare una trasformazione di vaste proporzioni, ridefinire la sua identità», spiega al manifesto Giovanni Cordova, antropologo, docente dell’università Federico II di Napoli, della Rete No Ponte. La cantierizzazione coinvolgerà non soltanto gli espropriandi: «La città intera – prosegue – si troverà a perdere il rapporto col mare. Questa opera inutile sul piano sociale ed economico provocherà gravi e irreversibili danni anche sul piano ambientale. Turberà ecosistemi fragili. Per fare solo un paio di esempi, ci sono uccelli che utilizzano lo stretto per le migrazioni. Persino sulla foresta delle alghe di Messina incombe il pilone.

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C’è poi un problema di riduzione degli spazi democratici. Anche a livello di progettazione vengono bypassate le comunità locali, mentre gli interventi di tale portata di solito cercano il coinvolgimento delle popolazioni. Comunità patrimoniali, le definisce l’Unesco. Ridefiniscono i saperi locali, valorizzano le risorse, ma vengono coinvolte esclusivamente solo quando si parla di esproprio, che peraltro è una bufala in assenza di progetto esecutivo».

INDIGNAZIONE tra i villesi, soprattutto tra i proprietari di terreni: «Ho ritrovato il nome di mia nonna, per caso, buttato lì, tra le cartacce che annunciano gli espropri, in quanto titolare della ditta proprietaria del nostro vigneto. Ce lo vogliono cancellare. Abbiamo saputo che il cantiere occuperebbe anche questi 300 metri quadri di terreno, perché le particelle corrispondenti figurano tra i documenti chiusi in un cassetto.

Ma non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione formale», denuncia Tonino Pentimalli, «nopontista» dal 2008. «Ho sempre fatto parte delle mobilitazioni – racconta – perché è un progetto mangiasoldi per i contribuenti, in particolare per noi del sud. Ci sono stati sottratti 6 miliardi tra Fondi di Coesione e Sviluppo e Fondi di Perequazione infrastrutturale. Sappiamo pure che l’opera non vedrà mai la luce, perché non è fattibile. Lo dicono i migliori tecnici al mondo. E abbiamo tutti il terrore che i cantieri verranno aperti e mai ultimati. Che ne sarà della nostra città? Non permetteremo che la devastino».

C’È OTTIMISMO sulla manifestazione. I promotori puntano a bissare i 10mila di dicembre sull’altra sponda. Centinaia di sigle aderenti: associazioni, comitati, reti territoriali, movimenti, sindacati, partiti, enti pubblici. Appuntamento stamane in piazza Valsesia. Per costruire un ponte umano tra le due rive dello Stretto. Contro il «grande bluff».