«La diga finalmente è crollata! Dopo 25 anni, il parlamento europeo ha condannato (in maniera non vincolante, ndr) il Marocco riguardo al mancato rispetto dei diritti umani».

Così l’eurodeputato spagnolo della Gue (Sinistra europea), Miguel Urban, ha salutato la risoluzione, votata giovedì a larga maggioranza (356 voti a favore, 32 contrari, 42 astenuti), che richiede «alle autorità marocchine di rispettare la libertà di espressione e dei media».

UNA RISOLUZIONE considerata particolarmente simbolica dopo l’inchiesta sul Qatargate, da molti rinominata Moroccogate, sul caso di «corruzione e lobby da parte dei servizi segreti di Rabat» che ha coinvolto numerosi eurodeputati: primo tra tutti Pier Antonio Panzeri.

La richiesta presentata dai gruppi dei Verdi e della Sinistra europea è stata, stavolta, sostenuta trasversalmente dal gruppo dei Socialisti e Democratici (gruppo di appartenenza di Panzeri, Cozzolino e Tarabella), dai Popolari europei e dai liberali di Renew.

Un segnale di discontinuità e un messaggio indiretto al governo marocchino che, nell’estremo tentativo di difendersi, ha inviato tramite Lahcen Haddad, presidente della commissione mista Ue-Marocco, una lettera agli eurodeputati per «smentire queste false accuse», elogiando «i progressi del Marocco in materia di diritti umani».

Il parlamento ha fatto riferimento in particolare ai casi di Omar Radi e Soulaimane Raissouni, due giornalisti indipendenti condannati in appello nel 2022 rispettivamente a sei e cinque anni di reclusione per «violenza sessuale» e, nel caso di Radi, anche di «spionaggio».

LA LORO VERA COLPA, al contrario, sarebbe quella di aver condotto indagini «contro la corruzione da parte del governo o per aver difeso i manifestanti che protestavano per i loro diritti nella valle del Rif».

La risoluzione ha fatto riferimento all’indagine condotta dall’ong Human Rights Watch che ha messo in luce «vizi procedurali e vere e proprie tecniche di repressione per screditare diversi giornalisti e oppositori».

Una situazione di mancato rispetto dei diritti umani confermata da Amnesty International con «170 giornalisti incarcerati», oltre alle «torture fisiche e psicologiche messe in atto da Rabat contro gli attivisti e i prigionieri saharawi».

Riguardo al Sahara occidentale si conclude oggi il 16° congresso – il primo dopo la rottura del cessate il fuoco nel 2020 – del Fronte Polisario, legittimo rappresentante del popolo saharawi, che ha deciso la riconferma dell’attuale segretario generale e presidente della Repubblica araba saharawi democratica (Rasd), Brahim Ghali, con l’obiettivo dichiarato di «favorire la lotta armata di liberazione», contrapponendola a «30 anni di sterile azione diplomatica».

Dal 1991 Rabat controlla quasi l’80% del Sahara occidentale e ne sfrutta le risorse, sostenendo «un piano di autonomia all’interno dell’integrità territoriale del Marocco», mentre il Polisario chiede «l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione» come sancito dalle risoluzioni Onu e dal diritto internazionale.

NEL SUO DISCORSO di insediamento Ghali – eletto anche per la ventennale esperienza militare nella lotta di liberazione – ha denunciato la «continua inerzia» del Consiglio di Sicurezza e «gli inutili sforzi» dell’inviato Onu, Staffan de Mistura, di fronte ai tentativi del Marocco «di imporre il fatto compiuto nei territori occupati e di mantenere la stessa impunità nella dura repressione contro i civili saharawi»

«Questo non lascia al popolo saharawi altra scelta che intensificare la legittima lotta armata per difendere il nostro inalienabile diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza», ha concluso Ghali, deplorando i numerosi paesi occidentali (Usa, Spagna, Germania) che hanno deviato «dalla loro posizione di neutralità a sostegno di un paese occupante», al contrario di quanto sta avvenendo in Ucraina.