Un movimento storico multiforme ed internazionale come la Lotta di Liberazione sollecita, con i suoi caratteri politico-sociali e la sua composizione in termini storici, ad interpretare la Resistenza partigiana come un sistema pluralistico di Resistenze qualificato da una molteplicità di forme di lotta, espressioni, identità di genere e classe, azioni e culture politiche. Quella del racconto polifonico, dunque, non può che essere una strada proficua per restituire una complessità costituente da cui nacque il fondamento democratico della Repubblica. Fermammo persino il vento. Racconti e letteratura di partigiani, curato da Marco Codebò e Domenico Gallo (Shake, pp. 240, euro 16), percorre questa via ricostruendo un vero e proprio «itinerario partigiano» attraverso la raccolta degli scritti sulla Resistenza di figure che vanno da Renata Viganò e Vasco Pratolini ad Alba de Cèspedes e Angelo Del Boca fino a Gino De Sanctis e Fabrizio Onofri.

UN VIAGGIO storico-letterario che attraversa tutte le grandi questioni e le esperienze emerse nel fuoco della Guerra di Liberazione e che prende avvio domandandosi quale possa essere il senso ideale e materiale della rivisitazione della Resistenza nel tempo contemporaneo. La risposta necessaria, e preliminare ad ogni altra considerazione, rispetto ad un tema tanto rilevante si trova nella introduzione del volume che declinando un passo di Michel Foucault (dalla Volontà di sapere) attraverso le parole di Gilles Deleuze colloca la Resistenza e le resistenze in una posizione soggettiva non subordinata al contesto storico. «Le resistenze – afferma Deleuze – sono l’altro termine nelle relazioni di potere, cioè il fuori delle relazioni di potere. Il rapporto di potere è ciò che combatte una resistenza preliminare, è ciò che si sforza di vincere una resistenza preliminare. La resistenza non è seconda, è prima».

È all’interno di questo quadro che i racconti, divisi per campi tematici, portano il lettore dentro la guerriglia dei Gap nelle grandi città come Roma o sulle montagne del nord Italia passando per la «pianurizzazione» del conflitto che fu sperimentata dal comandante Arrigo Boldrini in Emilia-Romagna. Proprio perché la Resistenza si è mostrata come un moto capace di coinvolgere soprattutto chi nella storia non aveva avuto voce, emergono forti sia il ruolo delle donne (nelle pagine di Renata Viganò e Antonio Meluschi) nella loro specifica duplice dimensione che investe un processo simultaneo e contestuale di liberazione ed emancipazione, sia quello delle popolazioni civili (è il caso dei racconti di Anna Banti e Oreste del Buono) senza il sostegno delle quali nessuna guerra asimmetrica ed irregolare come quella partigiana avrebbe potuto e potrebbe mai esistere.

 

DENTRO LA «GUERRA TOTALE» del 1939-1945 (che non distingue più tra militari mobilitati al fronte e civili dei territori occupati) questi due nuovi soggetti, le donne e le popolazioni, dapprima vengono investiti e travolti loro malgrado dalla misura del conflitto e dalla violenza che vi si esprime ma poi trovano la capacità, pagando un prezzo altissimo in termini di stragi, torture e deportazioni, di determinare un fattore di rottura nuovo rispetto ai conflitti della storia precedente: l’ingresso delle masse senza divisa militare all’interno della contesa.

IN QUESTO DIVERSO «modo di fare la guerra» risiede il nuovo impianto valoriale espresso dalla Lotta di Liberazione il cui approdo sarà quello della Costituzione che per la prima volta nella storia d’Italia rifonderà lo Stato con il contributo decisivo di 21 madri costituenti elette a suffragio universale il 2 giugno 1946 e che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di natura economica, cioè le differenze di classe, che impediscono ai lavoratori la partecipazione diretta alla vita pubblica e politica, ovvero l’uguaglianza sostanziale. Un rovesciamento assoluto del paradigma della società monodimensionale fascista (ovvero organicista ed escludente) e della categorizzazione discriminante degli esseri umani.

L’esperimento letterario operato dal volume si mostra, dunque, riuscito soprattutto laddove riesce a presentarsi come accesso e modo di fruizione contemporaneo al racconto di quelle esperienze certamente fuori dall’ordinario e ciononostante alla base delle nostre identità di oggi.