La Spagna non vuole che Vox entri nel governo del paese: è il messaggio inequivoco venuto dalle urne in questa domenica di piena estate.

Nonostante la manipolazione dei sondaggi e il clamore mediatico a sostegno dell’abrogazione del sanchismo, le sinistre spagnole, Psoe e Sumar, sono riuscite nell’obiettivo di impedire la formazione di un governo reazionario formato dal Partido Popular di Alberto Núñez Feijóo e l’estrema destra di Santiago Abascal. Il Partido Popular è tornato a essere il primo partito, ma l’elettorato spagnolo nella sua maggioranza ha opposto una barriera all’arretramento nei diritti civili e nelle libertà, al ritorno indietro di cinquant’anni nella memoria del paese. Lo scandiva a chiare lettere Pedro Sánchez, attorno alla mezzanotte di domenica, davanti ai militanti accorsi nella sede nazionale del partito, in Calle Ferraz: «Il blocco retrogrado ha fallito». E il leader socialista ha vinto la sua scommessa.

IL GIORNO SUCCESSIVO le elezioni locali del 28 maggio che avevano decimato la rappresentanza istituzionale socialista, il presidente del governo aveva convocato elezioni anticipate, rischiando il tutto per tutto. E, come in altre occasioni della sua carriera politica, Sánchez è riuscito nell’intento, confermando di avere uno straordinario intuito politico. Le destre non hanno i numeri per governare, le sinistre hanno bisogno di allargare la maggioranza parlamentare per rinnovare un governo di coalizione progressista. L’alternativa, al momento poco probabile, è il ritorno a nuove elezioni in pochi mesi.

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Il Pp vince le elezioni, ma è sconfitto nel suo obiettivo di tornare alla Moncloa a qualunque prezzo, anche a costo di farsi carico dell’estrema destra fino ad assimilarne linguaggio e programmi. L’arroganza di chi si è dato per vincitore troppo in fretta, la strategia della bugia praticata nel corso della campagna elettorale, la fotografia tirata fuori dall’archivio di Feijóo in barca con un noto narcotrafficante galiziano, il disagio in una parte dell’elettorato moderato per l’alleanza con i post-franchisti di Vox: tutto ciò non ha solo mobilitato una sinistra altrimenti dispersa, ma più in generale la coscienza democratica del paese.

IL PP CONQUISTA 136 seggi, 47 in più rispetto alle elezioni del 2019, con una differenza positiva di appena 300mila voti rispetto al Partito Socialista, non quello tsunami blu che tutti prevedevano. Pesca voti nell’elettorato di Ciudadanos, partito ormai scomparso dalla scena politica, e attrae parte di quello di Vox, sensibile al richiamo del bipartitismo. Così la somma di popolari e Vox, quest’ultimo indebolito dalla perdita di quasi un milione di voti e 19 deputati, si ferma a sette seggi dalla maggioranza assoluta parlamentare di 176.

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IL PSOE MIGLIORA i risultati del 2019 in voti e seggi, ottenendone 122, grazie all’ottimo risultato realizzato in Euskadi (dove Bildu ha superato il Pnv per un seggio) e soprattutto in Catalogna, dove – e non succedeva dal 2008 – torna a essere il partito più votato col 35% dei voti e 19 deputati eletti. Sumar, la formazione di sinistra guidata da Yolanda Díaz, resiste con dignità alla logica del voto utile che ha premiato i socialisti. Perde di poco il terzo posto e non riesce a recuperare l’intera rappresentanza che Unidas Podemos conquistò nel 2019, come recriminava ieri mattina la segretaria di Podemos Ione Belarra. Elegge 31 deputati (il 12,3% per oltre tre milioni di voti) e si conferma come socio imprescindibile nella riedizione di un governo di coalizione progressista.

IN CATALOGNA, il voto produce un vero e proprio sconquasso politico rispetto a quattro anni fa, quando le elezioni si celebrarono a ridosso dell’emissione del verdetto di condanna dei leader dell’indipendentismo per il procés. Non solo perché torna a essere il granaio socialista indispensabile per qualunque avanzamento nel paese e perché Sumar conquista la seconda posizione. Ma anche perché i partiti indipendentisti calano nella rappresentanza in modo significativo e anzi una parte dell’indipendentismo ha scelto di non votare affatto. Specialmente Esquerra Republicana diminuisce nei consensi: paga il prezzo del dialogo aperto col governo spagnolo nella passata legislatura, perdendo sei seggi ed eguagliando i sette deputati eletti da Junts (che scende di uno), pur superando la formazione di Carles Puigdemont in voti. Mentre la Cup addirittura rimane fuori dal parlamento. Eppure, nell’indipendentismo catalano c’è la chiave dell’avvio della nuova legislatura.

IL PROSSIMO 17 AGOSTO si costituiscono le Cortes. Il re Felipe VI dovrebbe dare l’incarico a Feijóo, che rivendica di voler fare un improbabile governo di minoranza. I partiti che in campagna avevano già assicurato il loro consenso alla riedizione di un governo di coalizione progressista, fanno parte di quella Spagna plurale che si riconosce nell’opzione indipendentista o nazionalista: si tratta di Esquerra, dei partiti baschi Pnv e Bildu e della formazione galiziana Bng. Ma tutti insieme questi partiti assieme alle sinistre spagnole si fermano a 172. E perciò, nella seconda votazione, quando è sufficiente la maggioranza semplice dei consensi, sarà necessario che Junts si astenga. Junts ha già detto che il suo voto non sarà a titolo gratuito, ma Sánchez esclude una possibile ripetizione elettorale.