Se questo fosse un normale avvicendamento politico in una piccola regione periferica di un paese del sud Europa, probabilmente a malapena meriterebbe un trafiletto. Invece parliamo di Catalogna, e i pop corn sono assicurati.

Alle 10 di stamattina sono stati convocati tutti i deputati e tutte le deputate del Parlament catalano, a quasi 3 mesi delle elezioni, per votare finalmente l’investitura del nuovo presidente regionale. Già il giorno dopo le elezioni, tenutesi il 12 maggio, era chiaro che, con una certa difficoltà, l’unica strada percorribile era quella che il socialista Salvador Illa, cavallo (ed ex ministro) di Pedro Sánchez, occupasse il palazzo della Generalitat con i voti dei Comuns (partito di Ada Colau) e quelli di Esquerra republicana, il partito che formava fino ad oggi il governo monocolore di minoranza della regione. Ma siamo in Catalogna, e le cose sono molto più complicate.

INNANZITUTTO, ESQUERRA ha ricevuto una batosta dalle urne, e il partito è in pieno processo di rifondazione. Secondo, che la presidenza torni in mano a un socialista (dopo 14 anni) è la rappresentazione plastica che l’indipendentismo ha perso la spinta che ha avuto in questi convulsi anni, che hanno visto la celebrazione di due referendum a favore dell’indipendenza, entrambi dichiarati illegali dal governo centrale; la sospensione per la prima volta di un governo regionale da parte del governo del Pp; condanne sproporzionate ai leader indipendentisti per delitti inauditi come la sedizione, poi indultate dal governo socialista; un ex presidente, Carles Puigdemont, che scappa e si rifugia a Bruxelles e diventa europarlamentare, sfuggendo ai numerosi tentativi dei magistrati spagnoli di catturarlo; e infine anni di proteste pro indipendenza per le strade di tutta la Catalogna, alcune anche violente. Terzo, che il partito di Junts, la destra nazionalista guidata da Puigdemont, non è più egemonico, ed Esquerra finalmente si è liberata almeno in parte della dipendenza psicologica nei confronti dei loro compagni – e nemici politici – indipendentisti.

IN QUESTI MESI di trattative, Esquerra è riuscita a strappare ai socialisti promesse impensabili fino a poche settimane fa: soprattutto quella di una fiscalità speciale per la Catalogna, molto simile a quella già permessa a Euskadi, una rivendicazione storica dell’indipendentismo contro la quale i socialisti si sono sempre battuti, timorosi di riaprire il vaso di Pandora del finanziamento regionale.

I Comuns, in maniera assai meno clamorosa, hanno ottenuto una serie di impegni su politiche di mobilità, ambiente e casa, le storiche rivendicazioni del partito che forma parte di Sumar.

In una regione europea qualsiasi potremmo scrivere che oggi, dunque, Illa diventerà presidente (verosimilmente di un governo monocolore con appoggio esterno) grazie ai 42 voti socialisti, i 20 di Esquerra e i 6 dei Comuns: 68 su 130 deputati. Ma siamo in Catalogna, e lo spettacolo è garantito.

CARLES PUIGDEMONT, che non è riuscito a diventare president (progetto impossibile, oltre ai voti di Esquerra, avrebbe avuto bisogno di una implausibile astensione socialista) non ha intenzione di mollare la presa. Da vero professionista del drama, ha deciso di mantenere la promessa fatta in campagna elettorale: tornare in Catalogna dopo 7 anni per la sessione di investitura: è comunque il capo dell’opposizione.

Il problema è che a lui i giudici hanno deciso (per ora) di non applicare l’amnistia, che nel frattempo, con fatica, il governo Sánchez ha approvato su spinta di Junts e Esquerra. E quindi la mossa è plateale: viene a farsi arrestare, a dimostrazione che i socialisti (e gli ex soci di Esquerra che ancora controllano la polizia catalana) non sono affidabili. E lui, Puigdemont, è comunque e sempre la vittima e il simbolo della lotta indipendentista.

Sabato, incolpava direttamente Esquerra del futuro arresto e ieri annunciava a tutti i giornali che aveva intrapreso il viaggio di ritorno. Junts ha intenzione di chiedere la sospensione della seduta nel caso Puigdemont non possa votare; Esquerra e Comuns sono d’accordo. Ma fino a quando? Il giorno 26 scadono i termini per non dover tornare automaticamente al voto in caso di non elezione di un presidente, e né socialisti, né Esquerra, né Comuns hanno intenzione di arrivarci. Ma se Puigdemont dovesse essere arrestato (il Parlament ieri era circondato dalla polizia) ci vorrà qualche giorno perché il Tribunale supremo si esprima sul suo destino, e per sapere se potrà votare.

Sia come sia, la suspense è assicurata. Siamo in Catalogna, e forse oggi ci sarà un nuovo president. O forse no. Ma lo spettacolo, quello, non mancherà.