La tornata elettorale portoghese di domenica scorsa sarà una di quelle che passerà alla storia. Con una partecipazione che sale dal 48% al 57% e i socialisti che ottengono il 41,68% e la maggioranza assoluta dei seggi il parlamento ne esce molto trasformato. António Costa, leader socialista e primo ministro dal 2015 verrà riconfermato nel suo incarico collezionando così il terzo mandato consecutivo. Dietro il Partido Social Democrata (centro destra, Psd) con il 27,8%, Chega (destra populista) che sale al 7,15%, poi Iniciativa Liberal (Il) con il 4,98%, il Bloco de Esquerda (Be) al 4,46%, il Partido Comunista Português (Pcp) al 4,39%, Pessoas Animais e Natureza (Pan) all’1,53% e il Livre l’1,28.

Dopotutto anche il presidente della repubblica Marcelo Rebelo de Sousa l’aveva detto: queste non sono elezioni come tutte le altre. Che ci si trovi di fronte a un momento importante è indubbio se non altro perché con il Plano de Recuperação e Resiliência (Prr, circa 16 miliardi) a cui sono associati i massicci investimenti legati al piano Estratégia Portugal 2030 (un centinaio di miliardi in dieci anni) l’intera struttura economica del paese potrebbe cambiare significativamente.

L’APERTURA DELLE URNE è stata tutt’altro che priva di sorprese. Intanto l’astensione. In discesa rispetto alle scorse elezioni, di poco, ma tenuto conto che si è ancora in pandemia, ci si sarebbe aspettati un’affluenza in drastica discesa.

Cosa è successo quindi? Gli ultimi sondaggi usciti alla vigilia del voto suggerivano la possibilità di una Geringonça di destra, ovvero di un governo formato dalla destra moderata, con i socialdemocratici del Psd, Iniciativa Liberal e la destra populista del Chega. A rendere tutto molto più incerto il fatto che solo pochi mesi prima, alle amministrative, proprio al fotofinish i socialisti avevano inaspettatamente perso a Lisbona.

Forse è ancora presto per capire fino in fondo tutte le sfaccettature di questo risultato, ma è utile guardare al 2015 quando tutta questa storia comincia.

SETTE ANNI FA una sconfitta risicatissima (1.747.730 voti i socialisti, 2.082.511 il centro destra) obbliga il Ps ad allearsi con il Blocco di sinistra e il partito comunista. Nasce la Geringonça e l’asse della politica portoghese si sposta a sinistra. Nel 2019 i voti diventano 1.903.687 e i seggi passano da 86 a 108. Il 30 gennaio, dopo quasi sette anni all’esecutivo, i voti sono 2.246.483 (+30% rispetto al 2015) e i seggi 117 su 230 (manca ancora nel conteggio finale la circoscrizione esteri).

Un trionfo costruito da Costa con coraggio – la scelta di allearsi per la prima volta nella storia con Be e Pcp era stata fortemente contestata – e tenacia. Perché il primo ministro di origini goesi non ha mai smesso di credere che per rafforzare il suo consenso occorresse abbandonare – speriamo  definitivamente – velleità centriste.

NON SONO STATE ELEZIONI come le altre perché c’è la pandemia, una doppia pandemia in realtà: sanitaria ed economica. Quella sanitaria non è stata tanto differente da quella italiana, anche se qui il sistema ha funzionato decisamente meglio e il numero dei morti, in proporzione, sia tra la popolazione che tra gli operatori sanitari, è stato decisamente inferiore. Quella economica ha picchiato davvero forte. Il turismo dopotutto è una delle entrate principali. Con il paese ermeticamente chiuso povertà e disuguaglianze sono schizzate a livelli altissimi in pochissimi mesi (il Pil è sceso quasi del 9% nel 2020, seguito da una crescita del 4,8% nel 2021 e si stima possa crescere del 5,8% nel 2022).

A UNA VITTORIA DEL PS corrisponde la sconfitta dei suoi ex-alleati. Anche qui occorre evitare facili conclusioni e tornare indietro al 2015. Be e Pcp sapevano che l’alleanza a sinistra sarebbe stata un bene per il paese ma non per loro. Che la mediazione avrebbe avvantaggiato certamente i socialisti. Ma il progetto delle destre era quello di continuare nell’opera di smantellamento dello stato sociale e non ci si poteva certo tirare indietro. Nel 2015 Be e Pcp insieme sono quasi al 20%, prendendo circa 1 milione di voti. Nel 2019 scendono al 15% (800 mila voti) e, al momento della bocciatura della legge di bilancio venivano dati al 12% (Be al 5,1% e comunisti al 5,6%). La sconfitta nelle elezioni di domenica scorsa quindi deve essere inquadrata in un contesto di lungo periodo nel quale a pesare è stata più l’assunzione di responsabilità nel 2015 che l’avere fatto cadere il governo.

QUESTE ELEZIONI non sono state come tutte le altre anche a guardare nel campo delle destre, che ne esce profondamente trasformato. Intanto il Chega, il partito di estrema destra fondato da André Ventura, che esordisce alle elezioni del 2019 prendendo una manciata di voti che gli permettono però di entrare in parlamento. In poco tempo il suo diretto avversario, il Partido do Centro Democrático Social Partido Popular (Cds/Pp) che aveva preso un po’ più del 4%, entra in crisi. Alle elezioni presidenziali del gennaio 2021 Ventura riesce a prendere quasi 500 mila voti, circa il 12%, e quando a dicembre l’Assembleia da República viene sciolta i sondaggi accreditano Chega al 9%, l’obiettivo era raggiungere il 15%. Alla fine i populisti si fermano poco sotto i 400 mila voti (7,15%), perdendo rispetto alle presidenziali e guadagnando, senza sfondare, rispetto alle scorse legislative. Iniciativa Liberal, iperliberista sia sul piano economico che su quello dei diritti civili, cresce dall’1% al 4%. Infine il Psd, che non riesce a mettere fine alla propria crisi di identità, sale di poco (perdendo deputati) fermandosi al 29%.

Per concludere. Le sinistre complessivamente mantengono rispetto al 2019 inalterato il numero di voti, quasi tre milioni. Le destre recuperano parecchio ma si fermano comunque dietro di 500 mila voti. A cambiare è la struttura all’interno dei due blocchi: i socialisti a cannibalizzare il campo progressista, i conservatori divisi in tre formazioni: una, quella tradizionale, il Psd in crisi, due, nuove (Il e Chega), in ascesa.