L’idea del fondo trasparente col mare dietro è stata di Donzelli e per una volta che la ha azzeccata lo scalmanato di FdI ci tiene a rimarcarlo. Dal punto di vista dell’immagine è stato un colpaccio ma anche la trovata del nome di Giorgia detta Giorgia ha fatto il suo lavoro. Senza quella assurdità la notizia della candidatura in tutte le circoscrizioni, già universalmente nota alla vigilia dell’antivigilia, sarebbe stata fiacca. Così ha occupato prime pagine, tg e social: tanto basta.

I costituzionalisti avevano storto la bocca e avanzato dubbi. Sì certo il caso si era già dato numerose volte ma solo per chiarire a chi si riferissero i soprannomi, qui è come se Pannella buonanima avesse disseminato per decenni le schede elettorali con un bislacco Pannella Giacinto detto Giacinto. Il Viminale è arrivato di corsa a spegnere le polemiche. Il manuale per i presidenti di seggio spiega che «espressioni identificative quali diminutivi o soprannomi comunicate in precedenza agli elettori» devono essere considerate valide. E una avrà pure il diritto di usare un soprannome identico al nome o no?

La mossa a effetto, del resto, presenta un congruo numero di vantaggi. Concentra il voto sulla personalità della presidente più che sulle sue politiche, e si sa che la prima piace molto più delle seconde. Le garantisce, se i risultati saranno quelli che si aspetta, la forza plebiscitaria per tenere a bada i soci quando inizieranno a brontolare e sgomitare per spartirsi i magrissimi fondi a disposizione nei prossimi anni, e saranno davvero quattro soldi. Apre la pista al premierato, addestrando gli elettori a immaginare un voto sul leader e non sui partiti, figurarsi poi sui programmi che solo a dirlo viene da ridere.

Da questo punto di vista, nonostante le proteste, la premier ha già fatto centro con tutti quei leader come Tajani prima e ora anche Calenda che, dopo aver bersagliato con vibrato sdegno l’ipotesi di candidarsi per poi non occupare il seggio, ci hanno ripensato e si sono buttati all’inseguimento. Se vai a Roma fai come i romani e a Roma, in questo momento, c’è Giorgia detta Giorgia.

Almeno sul nome, invece, Elly Schlein non tallona la rivale, anche se lei «detta Elly» lo è davvero, figurando all’anagrafe come Elena Ethel Schlein: «Ma io chiedo sempre di scrivere sulla scheda il cognome. Ho i nomi delle mie nonne ma per non fare torto a nessuna mi hanno sempre chiamata Elly». Lo chiederà anche stavolta ma nell’atmosfera da derby di queste elezioni, nelle quali di tutto si parla tranne che di Europa, c’è il caso che molti scelgano invece di uniformarsi: vota Elly.

La segretaria del Pd comunque si augura che il confronto acquisti caratteri più politici e meno pubblicitari: «Spero che il confronto tv si faccia. Sarebbe utile e ci sono contatti in corso». Come possa essere così difficile organizzare un confronto di cui si parla da mesi un po’ sfugge. Certo, ci sono le gelosie reciproche dei conduttori che si sentono super. Ma non dovrebbe essere impossibile rimetterli al loro posto se le due prime leader, soprattutto quella che abita palazzo Chigi, ci tenessero davvero.

Il grande assente, in questo 9 giugno mutato in corsa dei leader, è Giuseppe Conte. È vero, non c’è nemmeno Salvini, però si è scelto un candidato che sembra una bandiera del suo progetto, Lega nazionale, d’opinione, d’estrema destra. Un avatar. Mancano all’appello anche i due leader di Avs ma anche loro hanno puntato tutto su candidature di forte richiamo. Lo hanno fatto con intelligenza e senso politico ma la personalizzazione non difetta. Il capo dei 5S si è tenuto in disparte davvero, probabilmente per paura di bruciare le carte a disposizione nella corsa futura per la leadership del Campo, sempre che nasca e soprattutto che sia appena appena credibile. Nel clima che si sta creando c’è il rischio che tanta prudenza gli costi qualcosa, forse anche molto, in voti sonanti.