Quando Papa Francesco è entrato nella Chiesa della Maddalena, la cappella del carcere femminile della Giudecca, è stato costretto a guardare in alto, come lo sono stati tutti i visitatori. Dal soffitto, infatti, pendono le sculture a tecnica mista fatte di tessuto, fili e altri oggetti, dell’artista brasiliana Sonia Gomes.

Le sue opere sono frutto dei tessuti di donne che hanno fatto ogni genere di esperienza negativa che le ha portate alla reclusione. E sono a forma di bozzoli, formati dai diversi tessuti, intrecciando così le loro esperienze, le loro vite. Ma sono bozzoli, appunto, involucri protettivi delle crisalidi delle farfalle. Così spiegano quest’opera le signore che vivono nel carcere, guardando in alto, sognando e affermando la speranza di un volo possibile.

La scelta forte e controcorrente della Santa Sede è stata quella di allestire il proprio Padiglione dentro quel carcere. Nella chiesa della prigione, rivolgendosi agli artisti coinvolti, Francesco ha attribuito all’arte lo statuto di «città rifugio» nel senso biblico di «città che disobbedisce al regime di violenza e discriminazione per creare forme di appartenenza umana capaci di riconoscere, includere, proteggere, abbracciare tutti. Tutti, a cominciare dagli ultimi».

Nei suoi incontri col mondo dell’arte Francesco porta avanti un discorso visionario e politico che coinvolge la sua visione di un mondo spaccato che si va sgretolando, dopo essere stato tagliato a fette a Yalta. Bisogna coinvolgere tutte le risorse possibili per ristabilire legami di fratellanza e riconciliazione, che è l’unica strada che va in direzione opposta l’apocalisse.Alle città «invivibili» è necessario opporre la provocazione delle città «invisibili» di Calvino, «città che ancora non esistono sulla carta geografica – dice Bergoglio – : città in cui nessun essere umano è considerato un estraneo. È per questo che quando diciamo stranieri ovunque, stiamo proponendo fratelli ovunque».

Insomma, Francesco offre una lettura molto personale del tema della Biennale. Per Bergoglio «straniero» non è il contrario di cittadino: non significa affatto «estraneo», ma che possiede quella «stranezza» dal prezioso valore conoscitivo. Straniero indica pure quella «estraneità» che permette di appartenere, ma non di cadere né nell’anonimato né nella noia della identità sempre uguale a sé stessa.

Scriveva Bergoglio nel 2008: «come Abramo, che ha camminato come fosse uno straniero per la terra promessa, così anche noi ogni giorno camminiamo stranieri per la nostra stessa città». E in un suo discorso fortemente militante del 2010 aggiungeva: «Essere cittadini significa essere interpellati per una lotta, la lotta dell’appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere una massa di individui per essere persone, per essere società, per essere un popolo. Questo comporta una lotta».

In effetti, il tema della Biennale di quest’anno ci mette davanti a un bivio. Il rischio, infatti, è che si risolva la «differenza» nella parola straniero, come se le differenze creassero di per sé estraneità e alienazione; come se la differenza fosse talmente irriducibile da fare di noi stranieri gli uni agli altri, chiusi nelle nostre bolle di stranezza. La Biennale ci presenta in maniera estensiva il tema delle differenze, della pluralità, ad ogni livello (e in maniera ostinatamente anticoloniale). Volerle risolvere in estraneità è pericoloso. «Rendiamoci prossimi in mezzo alle differenze», chiedeva Bergoglio già da Buenos Aires nel 2001.

In un tempo di nazionalismi, identitarismi e xenofobie, la sfida oggi è esattamente l’opposto dell’estraneità, dunque: l’integrazione, l’armonia, l’accoglienza, la contaminazione, il diritto di cittadinanza, l’impegno, il riconoscersi tutti insieme alla ricerca di un «bene comune», del quale l’arte è cifra e profezia. E per questo è «città rifugio». E, infine, in un mondo alla ricerca di «beni rifugio», Bergoglio mette in guardia e chiede di «distinguere chiaramente l’arte dal mercato», che la mette davanti a un rischio: vampirizzarne la creatività, rubarne l’innocenza.

* già direttore de La Civiltà Cattolica e ora sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede.