Il Portogallo è a torto conosciuto per essere un paese di brandos costumes, insomma un posto tranquillo dove succede quasi poco o niente. In fondo fino al 4 di ottobre, giorno delle elezioni, sembrava che nulla dovesse cambiare. Eppure è un paese che sa stupire, con le sue repentine rivoluzioni che mai ti saresti aspettato e che da un giorno all’altro stravolgono uno scenario all’apparenza immutabile.

A essere sinceri, il rapporto tra cambiamento e permanenza non appare molto chiaro dalle figure scelte per formare il governo Costa e, anzi, dopo gli entusiasmi iniziali qualche perplessità su quello che sarà la capacità di innovazione emerge.

Secondo posto nella gerarchia della compagine governativa dopo il primo ministro è sicuramente il dicastero delle finanze. Come vuole la tradizione post Maastricht, Mario Centeno è a tutti gli effetti un tecnico nel cui curriculum è del tutto assente ogni tipo di incarico politico ad eccezione di quest’ultimo anno in cui è stato coinvolto dal Ps nell’elaborazione del programma economico.

Dopo un dottorato ad Harvard, con una tesi sull’economia del lavoro, Centeno entra nel Banco de Portugal (BdP) ed è professore presso l’Università Nova de Lisboa. Le posizioni del titolare delle finanze relative al mercato del lavoro si ispirano a quelle che sono le idee che circolano nel mondo della socialdemocrazia europea di questi ultimi anni.

Certo è complesso calibrare gli obblighi di rigore con la necessità di rilancio del welfare state e dell’economia. Tuttavia una figura meno mainstream – Centeno è convinto della necessità di superare il dualismo tra «garantiti» e precari con un contratto unico che tolga agli uni per dare agli altri – forse sarebbe stata più rassicurante.

Altro snodo fondamentale è quello dei rapporti tra Lisbona e Bruxelles. Augusto Santos Silva – neo ministro degli esteri e dei rapporti con l’Unione Europea – ha un lunghissimo percorso politico sia come deputato per il partito socialista (Ps) sia come ministro (educazione, rapporti con il parlamento e difesa). Santos Silva può essere annoverato tra i rigoristi di sinistra, da sostenitore delle teorie di equilibri di bilancio è stato nel 2011 fermamente contrario alla richiesta di aiuto alla Troika e durante gli anni del governo Coelho ha duramente criticato un’interpretazione e applicazione troppo integralista dei dettami del Memorandum.

Una buona notizia, tra le non moltissime, in un governo che appare davvero molto moderato, la nomina, per la prima volta, di una ministra di origini angolane. Francisca Van Dunem, nata a Luanda, è laureata in diritto a Lisbona e naturalizzata portoghese solo dalla metà degli anni Settanta.

In un paese in cui non sempre è facile essere neri e dove la violenza domestica è un autentico flagello, la scelta della Van Dunem, procuratrice generale aggiunta, per il ruolo di ministra della giustizia è certamente un segnale importante.

Insomma quello che si prefigura da parte di Costa è il governo delle molte mediazioni e quindi il suo percorso appare sotto molti aspetti enigmatico.

Da un lato un programma che, come scritto sulle pagine di questo giornale nei giorni scorsi, è chiaramente progressista così come decisamente di sinistra e innovativa è la maggioranza parlamentare. Dall’altro lato i soggetti che dovranno attuare questo programma.

Certo di mezzo c’è l’Europa, i suoi trattati e i suoi parametri.

Forse figure moderate hanno più legittimità ad attuare misure di rottura dello status quo. Le risposte ai dubbi arriveranno presto, perché dopo l’insediamento che si terrà il 26 novembre alle 16, il nuovo esecutivo dovrà presentare il più in fretta possibile la legge di bilancio per il 2016, e allora si capirà quale è davvero l’ispirazione alla base dell’alleanza frentista.

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